La non classifica delle migliori serie tv del 2022
Sì, il 2022 si è chiuso da poco e non è già più tempo di scorrere quei lunghi listoni che passano in rassegna le migliori e peggiori serie tv dell’anno. Ma chi legge Tellyst sa bene che, per stilare la propria, di lista, questo blog aspetta sempre che il calendario televisivo si sia esaurito del tutto. Capita quasi sempre, infatti, che all’ultimo arrivi qualche titolo meritevole di infilarcisi dentro.
La formula è sempre quella della non classifica: ci sono tante piccole liste, che man mano (almeno negli intenti non procrastinatori), vengono riempite con le serie tv più belle, quelle più strane, quelle sorprendenti, quelle divertenti, quelle detestabili, quelle non viste, le perdite di tempo, e via dicendo.
L’elenco è bello lungo, si avvisa. E nel caso non abbiate tempo e voglia di scorrerlo tutto, basti sapere che le serie tv migliori del 2022 sono riuscite a trattare storie semplici con uno stile originale, mentre quelle peggiori hanno esagerato troppo con il voler stupire. Con il punto più alto raggiunto da una piccola serie molto ansiogena e quello più basso segnato da una docuserie alquanto miserabile. Le trovate in fondo in fondo, se preferite partire da lì.
Le migliori e le peggiori serie tv del 2022
Le strane avventure di una sera
The Fear Index (Sky e Now)
Quattro ore in balia delle paranoie di un genio informatico appassionato di darwinismo e finanza, che prima s’inventa un algoritmo per far soldi prevedendo momenti di panico collettivo, e poi s’impanica lui stesso per via di un intrigo internazionale che non sa se esista davvero o sia frutto di vecchi deliri repressi. I suoi affanni (che poi sono quelli di Josh Hartnett) sono solidi, claustrofobici e fanno girare la testa. Chisseneimporta quindi di non capire pressoché un tubo dei dialoghi infarciti di astrusi tecnicismi finanziari.
Wolf Like Me (Prime Video)
Un vedovo impacciato s’imbatte per caso nell’unica donna capace di relazionarsi con sua figlia. Segue una caotica e tenera lotta tra sentimenti e paure, che procura tamponamenti multipli, corse disperate su strade australiane, e una grande svolta soprannaturale: lei è un lupo mannaro che nelle notti di luna piena deve rinchiudersi in cantina a sbranare galline – per evitare di farlo con qualche sfortunato umano. Se non è una strana avventura questa…
Run (Sky e Now)
Qui la crisi dei quarant’anni (cioè quella del diventare una volte per tutte adulti) ha la forma di una fuga in treno che una madre di provincia e un noto dispensatore di consigli di vita intraprendono insieme, tenendo fede a una promessa fatta ai tempi della loro storia d’amore universitaria. La resa è un continuo inanellare di svolte determinate dal loro bugiardo raccontare e idealizzare sé stessi, che fa diventare il viaggio sempre più rocambolesco, introspettivo, e pure criminoso. HBO l’ha cancellata (te pareva), e forse bastava davvero così. Ma fosse proseguita non ci si sarebbe lamentati.
The Pursuit of Love (Sky e Now)
Due cugine molto affiatate si avventurano alla ricerca di una storia d’amore che corrisponda ai loro opposti sogni sentimentali, in un’Inghilterra in pausa tra una grande guerra e l’altra. Ma la scena se la ruba tutta il personaggio dandy di Andrew Scott, che appare in pigiama a pois, danza, bacia, fa gestacci conturbanti, e abbandona il campo dopo due minuti.
Licantropus (Disney Plus)
Una sfida labirintica tra cacciatori di mostri dall’aspetto grottesco, un lupo mannaro che si nasconde tra loro, stilemi dell’horror rétro ben replicati, e Gael García Bernal che anima con pochi muscoli e tanta tenerezza il suo supereroe feroce e peloso. Tutto quello che non ci si aspetta da Marvel è qui.
Mammals (Prime Video)
La predisposizione umana al tradimento, spiegata attraverso l’irascibile e disperatissimo indagare di uno chef quasi stellato (James Corden, a sua volta seviziatore di chef) sui segreti poco segreti della moglie incinta. Tom Jones fa un cameo, Coco Chanel rivive, balene cadono dal cielo, e i personaggi si danno un tono filosofeggiando sulle proprie infedeltà. Tutte metafore di qualcosa, ma non è ben chiaro cosa.
Le perdite di tempo
Monterossi (Prime Video)
Era quella dove Fabrizio Bentivoglio faceva lo sceneggiatore disilluso prestato all’investigazione. Non ve la ricordate, vero?
Fedeltà (Netflix)
La prova – anche quest’anno – che non importa quante grandi serie tv americane la nuova generazione di sceneggiatori italiani abbia visto, nel suo codice genetico persistono i più sciatti stilemi della fiction generalista.
La donna nella casa di fronte alla ragazza dalla finestra (Netflix)
Bisogna capire se si perda più tempo a leggerne il titolo o a seguirne i tentativi di parodiare la moda dei thriller misteriosi con protagonisti per niente attendibili. (A occhio e croce, la seconda).
How I Met Your Father (Disney Plus)
Bisogna capire se abbia perso più tempo chi ha trascorso quasi un decennio a formulare una versione a generi invertiti di una delle sitcom più originali di sempre, o chi invece ha passato ogni minuto di visione a rimpiangere l’originale.
Life & Beth (Disney Plus)
Della nuova fase introspettiva di Amy Schumer, è oscura l’inconsistenza del non far piangere né ridere.
Dahmer (Netflix)
Più che per la scelta di provare a capire gli istinti omicidi di Jeffrey Dahmer, ci si sarebbe dovuti turbare per l’insistente e opulenta tendenza di Ryan Murphy ad allungare il minutaggio delle sue storie. Evan Peters è sempre più bravo, però.
Quelle che non sembrava, e invece…
Incastrati (Netflix)
Pareva una tipica commedia italiana generalista, fatta di poca consistenza, molti equivoci, cornutaggini, e mafiosi stravaganti. E lo è davvero. Ma Ficarra e Picone sono bravi a non fingere di avere alte pretese, e il loro parodiare gli amanti del true crime scorre piacevole.
Severance (Apple TV Plus)
L’asettica vita lavorativa dei suoi impiegati, resi robotici da una scissione chirurgica delle proprie memorie, rende parecchio difficile resistere alle ore di sonno arretrato. Poi però, arrivati in fondo, le emozioni si risvegliano tutte d’un colpo. Se la si capisce, è una delle cose migliori viste quest’anno. (Qui le istruzioni, per chi ne avesse bisogno).
Shining Vale (Lionsgate Plus)
Gran parte delle commedie horror fatica nel generare inquietudine, e poi scioglierla con espedienti comici ben posizionati. Questa ci riesce piuttosto bene. E nel mezzo infila pure un’introspezione consistente sui blocchi famigliari e artistici della sua protagonista.
Becoming Elizabeth e The Serpent Queen (Lionsgate Plus)
Due variazioni molto alternative sul genere del dramma monarchico, con un bel campionario di figure fragili e orribili che tramano, tradiscono, nascondono segreti (anche al pubblico), e si mettono in vendita con ogni mezzo sensuale e politico al miglior offerente.
She-Hulk (Disney Plus)
Perché dagli spin-off a generi invertiti – lo abbiamo visto sopra – non ci si aspettano quasi mai cose buone. Perché ha dato un suo senso alle rotture di quarta parete, senza scomodare Fleabag. Perché l’autoironia metatelevisiva ha tarpato le solite critiche alle lacune delle storie di supereroi. E così facendo ha innescato il divertente disappunto di chi, pur di polemizzare, s’è finto stupito di sapere che per la nerboruta trasformazione della protagonista sia servita una controfigura maschile.
Odio il Natale (Netflix)
Saranno i canali di Chioggia illuminati a festa. Sarà il disagio rinfrancante degli stati sentimentali dei protagonisti. Sarà la qualità tutto sommato sorprendente delle interpretazioni. Sarà che le poche produzioni italiane uscite discretamente bene a Netflix sono quasi tutte romantiche. Sarà che a Natale ci piace ingurgitare un po’ tutto, anche i vuoti aforismi da cioccolatino.
Quelle lasciate a metà. Ok, solo qualcuna di quelle lasciate a metà
Christian (Sky e Now)
Non si sa bene il perché. Era breve e miracolosomente appassionante.
The Staircase (Sky e Now)
È possibile che l’abbondanza di true crime l’abbia resa più indigesta di quanto non fosse davvero.
Paper Girls (Prime Video)
Recuperarla sarebbe poco utile: l’hanno già cancellata.
Non è nemmeno riuscita a sfruttare la fortuna – nessuno si offenda – di uscire con una storia di maltrattamenti di giovani ginnaste, negli stessi giorni in cui i giornali hanno iniziato a denunciare i maltrattamenti di giovani ginnaste.
1899 (Netflix)
Già predisposto un secondo tentativo (con doppia dose di caffeina annessa).
Le migliori, davvero
Landscapers (Sky e Now)
Il true crime più appagante dell’anno. Un omicidio squallido e paradossale, raccontato con un capolavoro di messinscena mobile che cambia genere cinematografico a seconda del modo in cui i personaggi vedono sé stessi. Senza mai farli cadere nel pietismo o nel ridicolo. Senza mai svegliarli dalla narrazione filmica e fin troppo eroica che serve loro a tenersi insieme, a dare un senso alla propria vita.
Moon Knight (Disney Plus)
Nell’usare un supereroe per rappresentare alla perfezione come si convive con un disturbo dissociativo dell’identità, c’è del mestiere esso stesso supereroico.
Peaky Blinders 6 (Netflix)
Perché ha concluso una serie epica con un atto d’affetto verso tutto ciò che l’ha fatta grande: gangster stilosi, esplosioni scenografiche, camminate al rallentatore, simbolismi cromatici. Perché ha tenuto viva la memoria (e la voce) di Helen McCrory. Perché ha sciolto la malvagità del suo protagonista in un disperato sollievo di scoprirsi vivo fuori e giusto dentro. Perché Cillian Murphy ha un magnetismo che pochi altri possiedono. Perché ottantadue minuti di episodio passano difficilmente in fretta. Perché le serie che si vorrebbe non finissero mai sono rarissime e preziose.
Bad Sisters (Apple TV Plus)
In un’epoca in cui le serie criminali tengono parecchio a sembrare seriose, non era più capitato di sedersi davanti alla tv per seguire con spudorato godimento i molteplici tentativi di uccidere un cattivo puro. Peraltro, assistendo a messaggi sociali sottili e ben più utili di qualsiasi altro femminismo drammatico e verboso.
House of the Dragon (Sky e Now)
I presupposti per un fallimento c’erano tutti: lo sfinimento per il continuo riciclo televisivo, il legame con una grande serie finita per farsi odiare, l’uscita estiva a ridosso di una gigantesca rivale. Invece è arrivata, ha rivendicato i suoi legami di parentela, ricordato il motivo per cui Il Trono di Spade si era fatta amare (l’imprevedibile ambiguità dei suoi personaggi), moltiplicato i draghi, predisposto una base narrativa dal potenziale esplosivo, e proiettato sulle finestre di palazzi interi i riflessi sincroni dei suoi episodi. Il tutto senza mai, o quasi, uscire dalle mura grigie di un castello. A dimostrazione che grandi budget e panorami sconfinati servono a poco, se non c’è buona scrittura.
Skam Italia 5 (Netflix)
Ci voleva un attimo a scivolare sulla scelta di fare protagonista di stagione un ragazzo con un pene patologicamente troppo piccolo. Invece, anche stavolta, l’argomento è stato maneggiato con una sensibilità preziosa, mai sfigata, da servizio pubblico fuori dal servizio pubblico. Con il suo raro talento nel lanciare mille messaggi di educazione sociale, sessuale e sentimentale mantenendo un’asciuttezza di parole. Che chissà che magari non abbiano risuonato meglio anche nell’ottusa testa di chi, venuto a conoscenza del tema, s’era affrettato a deriderlo ancora prima di conoscerlo.
Andor (Disney Plus)
Ha reso più concreta, grigia, angosciosa, realistica Star Wars. E l’ha fatta diventare adulta.
The Bad Guy (Prime Video)
Chi avrebbe mai pensato che l’erede di Gomorra sarebbe stata una commedia nera di giustizia e malavita, dove le contraddizioni italiane hanno la forma surreale di decadenti pistacchi giganti, orche assassine, balli di gruppo con sparatorie annesse, e pure un immaginario crollo del ponte sullo stretto di Messina. Perché in fondo non è il genere a fare la differenza, ma la capacità di osservare la realtà prima di raccontarla.
Boris 4 (Disney Plus)
Ci vuole bravura a riproporsi, quasi dieci anni dopo, sempre uguale a sé stessa, anche nelle imperfezioni. Per far piangere dopo otto episodi di cazzeggio libero, invece, basta la poltrona vuota di Mattia Torre.
The White Lotus 2 (Sky e Now)
Il suo reality itinerante s’è spostato in Sicilia e, come richiede l’archetipo italiano amato dagli americani, s’è fatto più furbo, passionale, disinibito. Ma il piacere di assistere all’animalesco immiserirsi dei suoi ricchissimi turisti, quello è rimasto intatto. Con nota di merito agli attori italiani (che all’estero chissà come son più bravi) e alla sigla paradisiaca.
Quelle dolorose, ma ne è valsa la pena
DOC – Nelle tue mani (Rai 1)
Non tanto per le storie, che si adagiano sulle solite linee della fiction generalista. Quanto per l’effetto straniante del vedere la pandemia italiana per la prima volta con occhi esterni.
Tutto chiede salvezza (Netflix)
Un racconto piccolo e potente delle anime, delle teste, degli occhi, delle relazioni che convivono in un reparto psichiatrico. Con un «quoziente di realtà» così elevato da lenire il fastidio per i simil spot ministeriali e la trama romantica teen (chi ha visto Boris, capirà) che Netflix non riesce proprio a non infilare ovunque.
This Is Going to Hurt (Disney Plus)
La prova tangibile che l’umorismo è una delle più alte forme di difesa. Le sue tragicomiche vicende ostetrico-ginecologiche vanno prese a piccolissime dosi, però.
Prisma (Prime Video)
Come sa far sembrare teneri gli adolescenti italiani Ludovico Bessegato (lo stesso sceneggiatore di Skam), nessun altro è stato finora in grado di farlo. Con nota di merito al modo in cui Mattia Carrano ha differenziato i due gemelli protagonisti ai quali presta il volto, calibrando con cura espressioni, movenze, timidezze.
Quelle buone, ma non perfette. Che poi cos’è la perfezione? Nessuno è perfetto!
The Gilded Age (Sky e Now)
Il creatore di Dowton Abbey ha generato una nuova copia di Downton Abbey, ma americana e un po’ meno sofisticata. La brillantezza degli interpreti che ne animano gli intrighi tra strati sociali (i vecchi ricchi, gli arricchiti, la servitù) è il motivo per cui la lunghezza degli episodi non diventa estenuante.
Bang Bang Baby (Prime Video)
Per la prima volta una storia di formazione italiana non parla di infatuamento adolescenziale, ma di amore filiale (e manipolazione paterna). E per la prima, miracolosa volta la cura estrosa dell’estetica non serve a deviare l’attenzione da trame grossolane e interpreti inadeguati.
Chloe (Prime Video)
Come una scrollatrice compulsiva di social infelice e un po’ matta può salvare dall’inettitudine una classicissima storia di segreti letali tra ricchi e furti di identità – ora potete respirare.
Reboot (Disney Plus)
Hulu ha deciso, con una certa autoironia, di fare una serie tv sulla smania dei servizi streaming di riciclare vecchie serie tv. E il vero paradosso è che la parte meglio funzionante si compone degli espedienti puri, confortevoli e consumati della sitcom classica.
Tokyo Vice (Paramount Plus)
Un intrigante viaggio nella Tokyo degli anni Novanta, al seguito di un giornalista parecchio ambizioso infilatosi un po’ per caso in un sottomondo di tipacci criminali. Peccato se ne sia parlato poco.
Divertenti!
The Afterparty (Apple TV Plus)
Così si mette in scena una parodia originale dei thriller misteriosi con protagonisti per niente attendibili (capito, serie lassù con il titolo lunghissimo?).
Bridgerton 2 (Netflix)
È melensa, fin troppo pastellosa, e si sa già come andrà a finire. Ma di serie così balsamiche ce ne vorrebbe una dose fissa a settimana.
Professor Wolfe (Sky e Now)
Paul Abbott, creatore della Shameless britannica, ha reincarnato sé stesso e il suo disturbo bipolare in un detective che risolve casi affidandosi alla spinta delle fasi maniacali. E con il raccapricciante – pur comico – ci ha preso così tanto la mano, da non riuscire lui stesso a vedere certe scene.
Cat Burglar (Netflix)
Che questa copia interattiva di un cartone dei Looney Tunes venga dallo stesso creatore di Black Mirror, non lo direste mai. O forse sì, visto il sadismo con cui si muore a ogni scelta sbagliata.
Gaslit (Lionsgate Plus)
Quello che succede quando prendi Julia Roberts, gli affianchi Sean Penn (sotto innumerevoli strati di trucco prostetico), e gli fai raccontare da un punto di vista inedito la storia di come andò lo scandalo Watergate.
The Tourist (Paramount Plus)
Jamie Dornan interpreta un misterioso tizio che, dopo un incidente, non ricorda niente della sua pericolosa vita precedente, compreso il proprio nome. E lo fa con una spiritosaggine tale, che ci si chiede come abbia potuto prestarsi per anni agli sguardi languidi e ai sospiri sadomaso di quei film con mezzo centinaio di sfumature.
Sopravvissuti (Rai 1)
Probabilmente ha preso spunto dalle prime stagioni di Boris, pensando che Gli occhi del cuore fosse un manuale di buona sceneggiatura. Altrimenti non si spiega…
Bad Sisters (Apple TV Plus)
Sì, era già nelle serie migliori per davvero. Ma vuoi non ringraziarla ancora per lo spasso?
Quelle che sono piaciute agli altri, ma non a Tellyst
Euphoria 2 (Sky e Now)
I suoi tormenti adolescenziali ridondanti e volutamente provocatori (oltre che un tantino irrealistici) allungano a un livello insostenibile la durata percepita degli episodi.
Bad Vegan (Netflix)
Una disamina quasi perfetta di come si finisce in una relazione abusante senza accorgersene. Finché arrivata in fondo, dopo ore trascorse a sensibilizzare sulla questione, non cade esattamente nello stesso vizio sociale che la svilisce ogni giorno: gettare ambiguità sulla parte abusata, senza indagarla oltre.
The Dropout (Disney Plus)
Se si toglie l’interpretazione di Amanda Seyfried, della grande truffa di Elizabeth Holmes restano solo il copione prolisso e una sequela di semplicistiche connessioni tra i traumi passati e la sua deriva criminale.
Stranger Things 4 (Netflix)
Che sia di fattura straordinaria, nessuno lo mette in dubbio. Ma il suo rifiuto nel porsi limiti ha esteso così tanto i tempi della storia, che a ogni nuova svolta ci si dimentica dei passaggi precedenti.
Wanna (Netflix)
Niente di nuovo sulle teletruffe urlatissime di Wanna Marchi: solo il rimpianto per l’accenno mal sfruttato al fantastico mondo delle tv locali italiane e il desiderio di uno spin-off malavitoso sull’enigmatica Milva.
Mercoledì (Netflix)
Qualcuno dica a Netflix che le emozioni solo a parole, su schermo, funzionano poco. Anche se appartegono agli Addams. Anche se a dargli forma è Tim Burton. Tant’è che il personaggio più intenso e godibile è una mano priva di bocca.
Quelle che sono piaciute a Tellyst, ma non agli altri
The Peripheral (Prime Video)
È un thriller cupo, un viaggio spaziotemporale, un videogioco a missioni. Ed è senz’altro più entusiasimante di Mercoledì.
Quelle che avremmo dovuto recuperare per farcene un’opinione
L’amica geniale 3 (Rai 1)
Qui si è ancora rimasti ai tempi della Lila e Lenù bambine, fate voi…
Romulus 2 (Sky e Now)
È che il rumore ripetuto delle fratture ossee e i dialoghi in protolatino non invitano, ecco.
The Good Fight 6 (TIMvision)
Lacuna non perdonabile.
The Crown 5 (Netflix)
La competizione con gli eventi monarchici reali era serratissima.
Quelle detestabili, ma proprio tanto
Le fate ignoranti (Disney Plus)
Come si fa ad affossare un legame tutto da esplorare (quello tra una vedova e il compagno segreto del suo defunto marito), svuotandolo di ogni grado di profondità, significato, tensione, e limitando un gruppo di personaggi assai complessi alla sola messa in scena di tavolate naïf?
The Girl from Plainville (Lionsgate Plus)
Come si fa a non approfondire le psicologie di un adolescente con problemi di depressione e della fidanzata virtuale che lo ha indotto al suicidio, pensando di vivere in una serie tv?
Gli Anelli del Potere (Sky Serie e Now TV)
Come si fa a non irritarsi davanti a un progetto che pensava bastasse ammirarsi e far ammirare la grandezza del proprio budget (con abuso di rallentatore annesso), per non fare notare la pochezza della scrittura?
Inside Man (Netflix)
Come si fa a sopportare la visione di David Tennant e Stanley Tucci che si danno da fare per animare un thriller – pur satirico, per carità! – i cui personaggi optano sempre, e sempre senza motivo, per la scelta evidentemente più demenziale?
The Watcher (Netflix)
Come si fa a prendere sul serio una storia potenzialmente inquietante (perché vera), dove Ryan Murphy vola altissimo con la fantasia, Bobby Cannavale bisticcia con grotteschi sconosciuti che si infilano nel suo montacarichi, e Naomi Watts si fa più turbare da inesistenti problemi di intimità col marito che da questi ultimi?
Quelle che avremmo visto (o finito di vedere) se non avessimo perso tempo con quelle di prima
Pam & Tommy (Disney Plus)
O se Disney Plus non l’avessa fatta uscire in un periodo molto affollato di crime reali e inventati.
Pachinko (Apple TV Plus)
Ma conviene recuperare, consigliano gli americani ormai amanti dei sottotitoli.
Russian Doll 2 (Netflix)
Il rimpianto dell’anno, mannaggia a The Dropout lassù.
The Sandman (Netflix)
Qui mannaggia alla sovrapposizione estiva con House of the Dragon.
The Patient (Disney Plus)
Ma è arrivata da poco in Italia, se vale come scusante…
Il giro del mondo in 80 giorni (Rai)
Non è più ben chiaro se ce la si sia persa o si sia dispersa negli archivi Rai (scusate per l’antipatico scioglilingua).
La migliore di tutte
The Bear (Disney Plus)
Il dubbio di lasciare questo posto ai ricchi matti del White Lotus è stato forte fino all’ultimo. Ma non c’è merito più grande, in quest’epoca televisiva, di farsi notare con un’idea non copiata, riciclata, adattata da opere di già sicuro successo. È bastato popolare una cucina dai passaggi stretti e scomodi con una brigata di pseudo-cuochi indisciplinati, ognuno con le proprie durezze e paure, per mettere in piedi una serie di caos impetuoso e bellissimo. Una sinfonia dove ogni componente culinaria si muove al ritmo delle emozioni dei suoi personaggi: padelle che sfrigolano (e talvolta bruciano), coltelli che affettano, piatti che cadono, dita che massaggiano, bocche che urlano e poi tacciono. In fondo ci si arriva sfatti e sfiniti, ansiati, con gli occhi gonfi e il senso di colpa per tutti i ristoranti in cui si è mangiato, ma assai appagati. Il Guardian ha ragione: se mai doveste uccidere qualcuno senza sporcarvi le mani, invitatelo a cena e mostrategli un paio di episodi di The Bear.
La peggiore in assoluto
Harry & Meghan (Netflix)
Questo avrebbe potuto essere il posto adatto per Dahmer, The Watcher e qualche non riuscita fiction italiana. Poi, sul finire dell’anno, il principe Harry e Meghan Markle sono giunti a rivendicarlo. Perché se sei una coppia monarchica fuggita dai doveri reali per la troppa pressione mediatica, non c’è in effetti idea più coerente che firmare un accordo ultramilionario con un notissimo servizio streaming e raccontare in una serie tv i fatti tuoi. E allora ecco Harry e Meghan che filmano un videodiario (per sicurezza propria, cosa avete capito?). Harry e Meghan che parlano con le galline e i colibrì. Harry e Meghan che per conoscersi meglio vanno in Botswana. Harry e Meghan che si stupiscono della formalità della famiglia reale. Harry e Meghan che fanno colloquiare i figli con il ritratto della martire Diana. Harry e Meghan che vaneggiano sull’importanza della propria sanità mentale, senza curarsi troppo di quella altrui. Convintissimi, per sei interminabili ore, che un documentario cucitosi su misura sia da considerarsi più veritiero di The Crown.
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