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“Gli Anelli del Potere” può comprare la bellezza, ma non le emozioni

Le cronache amazoniane narrano che, quando Jeff Bezos decise di trasformare Prime Video nel servizio streaming delle saghe ambiziose, s’impuntò nella ricerca della formula esatta per generare l’attesa erede del Trono di Spade. Il problema, tentarono di spiegargli con vana fatica i seduti al suo tavolo, è che produrre serie tv non è come vendere spazzolini elettrici: per quanti dati si raccolgano sugli utenti, le emozioni che proveranno non si possono mai del tutto prevedere. Come andò a finire, lo sappiamo ormai un po’ tutti: poco più tardi Bezos si accaparrò i diritti del Signore degli Anelli per un quarto di miliardo di dollari. E, dopo una lunga e laboriosa lavorazione, Amazon creò la serie tv più imponente e costosa nella storia della televisione.

Gli Anelli del Potere – questo è il titolo del prodigio – è in effetti qualcosa di una perfezione estetica mai appartenuta agli schermi televisivi. Eppure, lasciatala scorrere per qualche episodio, la serie sembra confermare che, anche per il budget più sostanzioso, le emozioni di chi guarda sono difficili da comprare.

Rispetto agli eventi del Signore degli Anelli – la trilogia letteria di J.R.R. Tolkien e quella cinematografica di Peter Jackson – la trama riavvolge il nastro di qualche millennio (tre, di preciso), alla cosiddetta Seconda Era della Terra di Mezzo, per raccontare la storia che portò alla forgiatura degli anelli magici del titolo e ai grattacapi che procurarono alle sue molteplici razze di creature. Tutto, nella fattura degli episodi, emana ammirazione (o forse timore reverenziale) per le opere che l’hanno preceduta. Le verbose pagine su cui Tolkien costruì il suo mondo fantastico prendono vita in immagini di paesaggi maestosi e scene quotidiane dalla minuzia appassionata. La stessa minuzia con cui, fotogramma per fotogramma, molte scene sono lo specchio di movenze e colori impressi nella memoria collettiva dai film di Jackson.

Gli-Anelli-del-Potere-recensione
Amazon Studios

Tra terre sconfinate, etereità elfiche, nani burberi, e battaglie chiaroscure tra le spade sonanti del bene e gli archi grugnenti del male, Gli Anelli del Potere è un grandioso assemblaggio di elementi a molti familiari. Ciononostante, i racconti da cui deriva le hanno lasciato ampissimi interstizi da riempire. Per questioni di diritti e altre postille legali, la serie ha attinto perlopiù dalle sei appendici della trilogia: 150 pagine in cui Tolkien stipò i propri appunti sugli eventi pregressi della Terra di Mezzo, per dare un «senso avvincente di realtà storica» alla sua opera. Cercando di raccapezzarsi nel groviglio di date poco chiare e descrizioni abbozzate (per gli standard tolkeniani, s’intende), la trama ha però ridotto parecchio l’arco narrativo. Dal millennio di eventi raccontato nelle appendici, le cinque stagioni della serie hanno estrapolato una storia lunga solo un ventennio.

Nel dare una forma televisiva alla Seconda Era, J.D. Payne e Patrick McKay – due sceneggiatori poco conosciuti e dall’esperienza contenuta – hanno così studiato, tagliato, cucito e colmato lacune attingendo alla propria inventiva.

Ecco allora ricomparire l’elfa immortale Galadriel (Morfydd Clark), sebbene un po’ meno angelica e posata della versione filmica interpretata da Cate Blanchett. Mille anni di vita, del resto, scolpiscono pensiero e carattere. E perciò la Galadriel giovane è ben più sfrontata e vendicativa, una guerriera capace di evoluzioni feline, mossa da una rabbia e una saggezza più istintive, che la convincono che il malvagio Sauron sia ancora vivo e stia tramando di tornare. Un’inquieta ostinazione che non piace molto all’amico Elrond (Robert Aramayo), mezzelfo placido dal cui perenne sorriso si legge paternalismo oppure stizza. Insieme a loro, la serie recupera anche Isildur (Maxim Baldry), marinaio introverso con un futuro da re matto, che congiunge i due adattamenti. Sarà proprio lui a sottrarre a Sauron l’anello più potente, che poi finirà nelle mani dello hobbit Sméagol, come narra l’incipit del primo film.

Gli Anelli del Potere non si limita però ad aggiungere dimensioni a paesaggi e personaggi già sviluppati (e abbandonati, nel caso di Isildur) da Tolkien. Bensì ne crea anche di nuovi, mescolando colori di pelle, fabbricando accenti. Armata di mappa virtuale, la serie si mette quindi in viaggio nella Terra di Mezzo per presentarli agli spettatori. In un diroccato villaggio nelle Terre degli Uomini s’incontra ad esempio Arondir (Ismael Cruz Córdova), un elfo guerriero dal solido senso del dovere, ma legato da una relazione proibita a una combattiva guaritrice umana. In un accampamento itinerante di pelopiedi (qui non ci sono gli hobbit, bensì i loro antenati indigeni) ci s’imbatte invece in Elanor (Markella Kavenagh), una ragazzina desiderosa di valicare i confini del proprio mondo in cerca di avventura. L’occasione le si presenta quasi subito, e ha le sembianze di un gigante buono rinvenuto tra i frammenti infuocati di un meteorite.

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Amazon Studios

Se i viaggi che attendono ciascun protagonista sono il principio di intuibili avventure epiche, Gli Anelli del Potere li soffoca tuttavia con il proprio narcisismo. Tanto maestosi quanto tronfi, gli episodi sono un continuo sfoggio di bei paesaggi e dialoghi solenni che sacrifica i personaggi. E mentre le scene si avviano al culmine della concitazione, il massiccio rallentare sulla perfezione dei dettagli annulla la tensione. Elfi, nani, orchi, umani, grotte oscure e isole dal destino funesto restano quindi sospesi nell’attesa che, finito di compiacersi, la serie torni occuparsi di loro.

Considerando le proporzioni del progetto, è assai probabile che Gli Anelli del Potere si stia ancora godendo la costruzione del suo articolato mondo. E nonostante la tendenza a confrontarla con la sanguinaria indole di House of the Dragon, quest’epoca televisiva potrebbe aver bisogno di entrambe le saghe. Il fantasy di George R. R. Martin riflette infatti le brutture del reale con la crudezza e l’ambiguità dei sentimenti umani. Quello di Tolkien, al contrario, le attutisce con una nobiltà di animi che si contrappone in maniera netta e rassicurante agli oscuri intenti del male. Certo, per Gli Anelli del Potere potrebber essere più difficile assicurarsi una longevità televisiva, rinunciando all’attrattiva violenta e impudica delle macchinazioni politiche e sessuali. Ma la serie può costruirla con pazienza, mostrando che, sotto la bellezza della copertina, i suoi personaggi hanno storie avventurose e complesse da raccontare.

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