I Tonfi e Trionfi di marzo 2019
Questa volta i Tonfi e Trionfi del mese parlano di zone di comfort. Quelle bolle fatte di certezze, cioè, che spesso si dice vadano valicate per poter ottenere successo. Eppure le serie tv di marzo 2019 dimostrano che il principio è valido solo per metà.
Per qualcuno che ha sfidato le convenzioni del proprio genere con buona riuscita, qualcun altro non ha invece raccolto l’esito sperato. Così, mentre il giovane Fulvio Risuleo ha saputo incuriosire con il suo giallo in formato interattivo e Dan Reed con il suo documentario non proprio su Michael Jackson, a Idris Elba non è andata per il meglio l’idea tentare la via comica. C’è poi anche qualcuno che nonostante gli sforzi si è fatto risucchiare dalla sua zona sicura della fiction classica.
Le eccezioni migliori, comunque, sono quelle che della propria bolla hanno fatto un universo talmente ricco e consolidato da non aver bisogno di abbandonarla. Dall’ibrido di azione e introspezione di Gomorra, all’anima irriverente ma sensibile di Ricky Gervais.
Il meglio e il peggio delle serie tv di marzo 2019
Trionfi: Gomorra 4
Per l’avvio della nuova stagione, la serie delle serie italiane ha accantonato gli eroismi all’americana per mostrare l’altro volto del suo bello. Quello cioè dell’ambiguità dei personaggi, che illudono sempre di redimersi e un attimo dopo cedono alla tentazione di mozzare mani (nei casi più rosei). E quello del saper intrecciare alle loro storie quelle di gente non criminale senza ridurle a diversivi passeggeri, ma facendone occasione per guardare in faccia la brutale realtà. Spesso, riuscendoci nella maniera più pregevole: con il minimo delle parole.
Tonfi: Il nuovo corso della fiction Mediaset
Che Mediaset si sia lanciata sulla via della fiction un po’ più pregnante, lo si è capito e lo si apprezza. Quel che rimane oscuro è però il motivo del persistente masochismo nell’urlarne la discendenza da celeberrime storie già viste. Perché prendere ispirazione da chi maneggia la serialità con successo è buona cosa. Ma per guadagnare gradimento non basta pararsene dietro il grande titolo. Così, il confronto con la recitazione da fiction e la scrittura iper-didascalica diventa anzi inevitabile, e pericolosamente dannoso.
Trionfi: Il caso Ziqqurat
Immaginate di metter piede sul set di una Melevisione alternativa dove è stato commesso un omicidio, e dover ascoltare le testimonianze di una squadra creativa che pare uscita da Boris. Non è visione onirica, bensì la webserie interattiva del regista Fulvio Risuleo, che con l’aiuto di buoni attori ha costruito una storia piccola e imperfetta, ma sufficientemente assurda per attrarre curiosità. Anche perché si tratta del primo contenuto italiano del genere, e l’appagamento di assistere a qualche insolito esperimento anche da queste parti vale già da solo la visione.
Trionfi: Leaving Neverland
Quando hai per le mani una storia vera che quasi parrebbe un film, è facile cadere nella tentazione di marcarne il racconto. Dan Reed ha però resistito, ha rinunciato a qualsiasi componente che non fosse pura intervista, e ha fatto del suo documentario la storia di due presunte vittime di pedofilia, più che del privato morboso di Michael Jackson. Da vedere, soprattutto per il messaggio che l’abuso è meccanismo psicologico più complesso del semplice binomio mostro-vittima, e che la questione è “come ascoltare”, non “quando ascoltare”.
SuperTrionfo: After Life
Non c’è niente da fare: il dramedy, se fatto bene, può diventare la migliore forma di espressione seriale. Come quello in cui c’è Ricky Gervais in versione giornalista di paese e fresco vedovo pronto al suicidio, che prima però vuol togliersi lo sfizio di dire al suo piccolo mondo qualsiasi verità gli passi per la testa. Un’unione del suo sé cinico e di quello malinconico, ovvero, che fa ridere e lacrimare a intermittenze regolari, grazie anche a due infallibili certezze di partenza: l’assurdità di The Office e i videomessaggi testamento.
SuperTonfo: Turn Up Charlie
Idris Elba voleva provare per almeno una volta a smettere i ruvidi panni del dannato e vestire quelli simpatici dello sfigato. Così ha creato da sé (e per sé) una comedy Netflix in cui da DJ fallito finisce tato di una fanciulla che ne combina di ogni perché avrebbe tanto bisogno di affetto. Solo che il ruolo di omaccione inanellatore di imbarazzi proprio non gli si addice e – complice lo humor consumato – si percepisce come forzatura. Elba è l’incarnazione della figaggine, insomma, e lontano dal cappotto dell’ispettore Luther lascia trasparire disagio.
La rimandata del mese: Il nome della rosa
Il progetto di adattare per la tv l’opera monumentale di Umberto Eco era difficile. E Rai Fiction ci è infatti riuscita solo per metà. Troppa la paura di snaturare l’originale e attirarsi le ire degli estimatori del romanzo, troppo poca invece l’ambizione di creare appetibilità e fervida attesa. Quel che ne è uscita è dunque una miniserie pregevole per la tradizione nostrana, ma silente e poco fluida rispetto agli standard internazionali. Cosicché rimandato non è il titolo in sé (peraltro capitolo unico) ma il servizio pubblico, che per maturare definitivamente non può più affidarsi alla sola qualità del contenuto.
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