I Tonfi e Trionfi di aprile 2020
Per stilare le pagelle alle serie tv di questo aprile 2020, è stato necessario radunare i brandelli di lucidità emotiva rimasti dopo due mesi di quarantena. Eppure la difficoltà del periodo rende difficile capire se chi ha trionfato e chi tonfato avrebbe fatto lo stesso in tempi normali, o se invece gli sbalzi umorali e la reclusione ne abbiano falsato la percezione. Che poi, a pensarci un attimo, non ci sarebbe nulla di sbagliato. Perché la tv è un pezzo di vita quotidiana. E a volte il conforto terapeutico che una serie può dare va ben oltre il suo valore oggettivo.
Il meglio e il peggio delle serie tv di aprile 2020
Trionfi: La buona volontà di DOC – Nelle tue mani
Il buonismo è sempre il solito della fiction italiana, la recitazione a singhiozzo anche (ma un po’ meno), e c’è sempre quel piccolo problema del metterla in ulteriore difficoltà con accostamenti di parole cacofonici. Però il voler provarci lo stesso, a portare un po’ più avanti la fiction italiana, si percepisce nella regia geometrica, nello svecchiarsi dei dialoghi e nelle storie che funzionano. L’incastro con la realtà di questo periodo di certo aiuta. Ma non è improbabile ipotizzare che avrebbe avuto successo lo stesso (potete vederla qui).
Trionfi: La casa di carta, generalista dello streaming
Non perché qualcosa sia cambiato rispetto all’ultima stagione (è sempre uno sfiancante strabordare di evoluzioni e melodramma), ma perché finora lo streaming non aveva mai prodotto una serie capace di parlare un po’ a tutti, ridare forza al cliffhanger e generare un fandom coriaceo. È come, insomma, se il concetto di generalista fosse migrato dai broadcaster al web.
Tonfi: Quibi e l’equivoco sul binge watching
Dopo anni trascorsi con fatica a rincorrere la dignità del cinema (e combattere lo snobismo dei cinefili), la tv ha ormai quasi raggiunto la vetta. Però Quibi – il servizio streaming dove le serie si chiamano “film in capitoli” e si consumano a morsi di 5-10 minuti – è arrivato quatto alle sue spalle per buttarla giù dal dirupo. Fortuna che il suo pensiero di ridurre le serie tv a diversivo per la coda alle poste ancora non ha attecchito. Anche perché parte da un grosso equivoco sul concetto di “binge”: le abbuffate si fanno di pizze succulente, non di barrette dietetiche.
Trionfi: L’esempio utile di Unorthodox
Passino le falle di scrittura. E pure una Berlino patria dell’accoglienza così idilliaca da sfiorare il ridicolo. Qui la forza sta nel progetto: una storia (quella di una giovane in fuga dall’integralismo) già raccontata, forse, ma trasportata in contesto del tutto nuovo (la comunità ebraica ultraortodossa newyorkese). È la prova che le serie tv internazionali possono anche ben replicare la qualità americana, ma lo sforzo è nullo se rinunciano a raccontare la cultura da cui provengono.
Tonfi: After Life e il problema dei nuovi episodi
Per la serie tv di Ricky Gervais un posto tra i trionfi di aprile era riservato già da inizio 2020. E invece è successo che il ritorno di Tony, neovedovo con il superpotere dell’insulto libero, un po’ ha deluso. Forse questo dramedy era una di quelle storie che sono piccole e così perfette da non aver bisogno di un seguito. O forse ha fatto ridere e piangere, piangere e poi ancora ridere con un’intensità tale da non poter essere replicata. I nuovi episodi, al confronto coi precedenti, sembrano essersi svuotati di ogni carica emotiva.
SuperTrionfo: Playdate with Destiny e il valore dei Simpson
Il secondo cortometraggio dei Simpson su Disney+ (il primo si era fatto pure un giro agli Oscar nel 2013) ha ricordato in 5 minuti il perché questa serie animata sia una delle cose migliori che siano mai capitate alla tv: una rara capacità di lettura della realtà; un’estetica dalla ricchezza appagante; e storie che partono da un battito di ciglia, smuovono il mondo e poi tornano alla calma piatta e routinaria come se niente fosse successo. Non c’è altra serie cult, peraltro, che ormai sia tanto data per scontata, eppure sia tanto centrale nell’appetibilità di un servizio streaming.
SuperTonfo: Summertime e la critica italiana
Qui ci si è provato pure, a vincere il pregiudizio. Anche se “teen drama italiano ispirato da Federico Moccia, dove adolescente maschio ribelle s’innamora di adolescente femmina per bene” alzava già di molto il livello di allerta imbarazzo. Ma non sia mai che gli adulti tolgano alla generazione Z il piacere di avere qualcosa tutto per loro (lo hanno già fatto con i social). Perciò imbarazzo incassato, e via alla prossima storiella molto vuota ma molto instagrammabile. L’imbarazzo non incassabile, piuttosto, è quello procurato dalla critica televisiva italiana, in visibilio come un cinquantenne in crisi di mezza età che dice “ganzo” ascoltando la trap. Mentre i veri adolescenti, dai loro telefoni, perculavano la ridicolaggine della serie.
La rimandata del mese: Diavoli
Qui forse il problema è della sottoscritta, più che della serie. Ma alla vista dei sotterfugi foschi di cui è protagonista Massimo Ruggero (cioè Alessandro Borghi), spietato italiano nella finanza londinese, l’interesse non è scattato. Sarà che la sensazione è quella di una perfezione tanto netta da risultare fredda, senz’anima. O sarà che – soprattutto in tempi così surreali – questo tipo di storie hanno un po’ fatto il loro corso. Appena la voglia di leggerezza e conforto passa, comunque, una seconda occhiata è promessa.
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