‘Élite’, il teen drama che non sembra europeo
Quanto reale c’è in Élite?
Gli adolescenti che vi si aggirano non somigliano affatto ai sedicenni in cui ci si imbatte da queste parti, sbracati e con poco più d’un muscolo. I protagonisti del nuovo successo spagnolo di Netflix hanno fisici scolpiti, abiti raffinati e si rilassano dalle turbolenze sentimentali sorseggiando calici di vino. Culmine cioè di una trasformazione del teen drama, il genere che ha ormai salutato i jeans lisi e le sofferenze platoniche di Dawson’s Creek, e che già da un decennio ha scelto di darsi un tono più adulto.
In principio fu l’edonismo di Gossip Girl, poi la malizia misteriosa di Pretty Little Liars, diventati cult generazionali con ampio benestare della sospensione d’incredulità. Così, se è vero che Élite si candida a esserne diretta erede, non si può che applicare lo stesso principio di clemenza.
Sforzo non poi tanto difficile, poiché questa serie tv pare tutto fuorché europea. I creatori Carlos Montero e Darío Madrona hanno aggirato l’ostacolo credibilità con l’eccellenza di una fotografia satura e buia, interpreti davvero all’altezza (diversi pescati da La casa di carta) e un’ambientazione americaneggiante. Vale a dire, quella sconfinata di un prestigioso college internazionale frequentato dall’élite di domani, dove tre comuni studenti piombano dopo il crollo della loro scuola.

Il resto, invece, è un accurato collage di trame già viste.
Una quotidiana competizione di divise fashioniste (proprio come in Gossip Girl) e arrivismo premiato con un trofeo alato (come in Le regole del delitto perfetto), che viene travolta da un omicidio da sezionare secondo i parametri classici del genere whodunit. Interrogatori nel presente e flash dal passato, ovvero, per ricostruire l’accaduto e scovare chi lo abbia commesso (Who [has] done it, appunto). Un po’ come accade in Big Little Lies e Tredici, poi, l’interrogativo è un più semplice pretesto per sensibilizzare su tematiche importanti.
I ragazzi di Élite ne affrontano infatti di ogni. Dalla drastica volubilità adolescenziale (pruriginosa quanto quella di Hannah Baker) alle malattie veneree, dall’integralismo religioso al machismo sportivo, dall’omofobia alle dipendenze, fino al triangolo poliamoroso. Le loro vite sono un pattern ripetitivo di scontri fin troppo esistenziali per la loro età, sempre generati da un’irrequietudine sessuale alla Skins e dalla lotta di classe a suon di party più o meno esclusivi.

Cosicché a farne un racconto da binge-watching accanito è l’irruenza delle personalità ben delineate che lo animano, più che la scaltra puntualità del colpo di scena in chiusura di episodio.
Peccato solo, però, che nell’inseguire tenacemente il teen drama a stelle e strisce si rinunci all’elemento più utile all’autentica singolarità dei protagonisti. Élite offusca la sua identità spagnola, sacrificando il realismo del paesaggio da sempre pregio invidiato alle produzioni europee. Le coste ventose e sconfinate sono metafora degli indomiti personaggi britannici, il gelo nevoso della desolazione di quelli nordici, la monumentalità decadente della corruzione di quelli italiani (da Gomorra a Suburra).
Nel compiere il salto di qualità, la serialità europea non può cedere all’emulazione ossessiva della cultura televisiva più influente. Si otterrebbero racconti accattivanti, certo, ma solo in quanto meri esercizi di stile.