‘Sex Education’ è ingenua, e per questo è bella
Chissà com’è che la maggior parte dei teen drama cade prima o poi nella tentazione del pedagogismo. Basta lodarli per il loro utile racconto dell’adolescenza, e si può star certi che le stagioni successive sembreranno un manuale, più che un racconto tv. Un po’ è successo anche a Sex Education, la serie tragicomica di Netflix dove il sesso adolescenziale è un mattoncino che serve a costruire la propria identità. I suoi nuovi episodi parlano, per dirne giusto qualcuno, di masturbazione, molestie, autolesionismo, vaginismo, tossicodipendenza, consenso, falsi miti e isteria collettiva, sessualità ed emozioni represse, omosessualità, bisessualità, pansessualità, disabilità e menopausa (sì, anche quella). E lo fanno in maniera talmente densa e vorticosa che non si rifiata quasi mai.
Eppure Sex Education è tutto fuorché estenuante. Anzi, la si guarda estasiati per oltre sei ore filate, e una volta finito si ricomincerebbe volentieri daccapo pur con gli occhi rossi di bruciore. Perché non è una di quelle serie tv convinte fino alla pedanteria di avere una missione sociale (vero Tredici?). E nemmeno una di quelle dedite a bacchettare gli adulti sciagurati con cruda e disinibita provocazione (capito Euphoria?). Sex Education trasuda candore – oltre che ormoni – e cammina spensierata sulla strada dell’ingenuità.
Così si è ben lieti di sapere che il sedicenne Otis (un Asa Butterfield che da solo vale la visione) non invoca più il potere calmante di David Bowie per astenersi dalla tempesta ormonale scoppiata tra i suoi coetanei. Ora ha una ragazza, Ola (Patricia Allison), e mentre cerca il coraggio, o meglio la tranquillità, di andare oltre qualche sfuggevole contatto fisico, si dedica con molto impegno all’autoerotismo, accogliendo ogni erezione tra fasci di luce divini e celestiali melodie.
Il che non significa affatto che le ansie di Otis siano svanite: sua madre, la sessuologa Jean (Gillian Anderson), continua a procuragliene parecchie. Copula quotidianamente con il padre della sua ragazza, ad esempio. E per giunta fa concorrenza al suo business segreto di consulenza sessuale scolastica. Il liceo di Moordale è infatti alle prese con un’apparente epidemia di clamidia. E stavolta le competenze di Jean sono l’unica medicina possibile per curare – e prevenire – l’isteria collettiva, il cui focolaio sono falsi miti e radicati tabù.
Da qui, con una scrittura molto materna, la serie riafferra ed estende i percorsi di tutti – ma proprio tutti – i suoi personaggi, ciascuno indaffarato con i propri problemi sessuali e sentimentali. L’eccentrico Eric (Ncuti Gatwa) s’imbatte nel fascinoso neoarrivato Rahim (Sami Outalbali) e deve abituarsi a vivere la sua prima relazione alla luce del sole. La scontrosa Maeve (Emma Mackey) deve imparare a fidarsi degli altri, sebbene il ritorno della madre tossicodipendente complichi le cose. L’ingenua Aimee (Aimee Lou Woods) deve invece prendere coscienza di aver subito delle molestie; lo stesso devono fare il popolare Jackson (Kedar Williams-Stirling) con l’oppressione che lo porta all’autolesionismo, e l’ex bullo Adam (Connor Swindells) con la propria bisessualità.
Nessuna evoluzione in questa serie è immediata, infatti. E nessuno assume da sé la consapevolezza di chi sia, chi vorrebbe essere e quali siano i suoi bisogni. Lo sguardo degli altri e le loro esperienze servono capire con lucidità quel che la propria mente spesso occulta o deforma.
La prima preoccupazione di Aimee, molestata sul bus da uno sconosciuto, è che quest’ultimo abbia eiaculato sui suoi jeans preferiti, rovinandoglieli; soltanto con il supporto – non richiesto – della femminista Maeve si rende gradualmente conto di quanto la cosa stia condizionando non solo la sua vita affettiva. Mentre Otis, che origliando le storie dei pazienti della madre ha acquisito – dice Eric – “la conoscenza sessuale di un maestro tantrico”, perde ogni raziocinio quando la pratica tocca a proprio lui. (“È possibile che masturbandomi tanto abbia esaurito le erezioni?” domanda con gli occhi sbarrati.)
Se i coetanei, anche quelli in apparenza più lontani dalla propria bolla, fanno da salvagente, gli adulti sono invece uno specchio. In loro i giovani protagonisti vedono il riflesso di come vorrebbero o – soprattutto – non vorrebbero diventare.
Siano insegnanti o genitori, questa stagione di Sex Education si prende più tempo per esplorare anche le loro, di vite. Gli episodi toccano perciò anche tante questioni legate alla mezza età (dalla perdita del desiderio al divorzio, dalla paura della solitudine alla menopausa) e il loro ripercuotersi su figli e studenti.
Mai, però, si ha l’impressione di assistere a un classico scontro generazionale. Come del resto gli stessi adolescenti non si dividono nella tipica classificazione di eroi e antieroi da liceo. La serie segue di pari passo ogni singolo personaggio, compresi quelli minori, dotandoli in egual misura di una superficie comica e di una profondità drammatica; e scavando nelle ansie di ciascuno, maneggiandone con molta cura le emozioni, restitisce ragioni sempre valide per comprenderne le azioni.
Così, la quantità soffocante dei temi trattati si avverte poco: la voglia di sapere uno a uno come i personaggi se la stiano cavando prevale. Con buon merito di un gruppo di interpreti dalla duttilità straordinaria.
Perché la cittadina di Sex Education, fatta di case vittoriane immerse nel verde, è una Twin Peaks abitata da ingenui; un terrario popolato di esemplari imbarazzanti tanto quanto noi, che crediamo di sapere tutto, finché sesso e relazioni non ci riducono puntuali a impanicati adolescenti.