‘Sex Education’ è sfacciata, dolce e stramba
Solleva singhiozzi quotidiani di tumulti incontrollabili, fatue tragedie e l’autoconvinzione di non poterne uscire mai. L’adolescenza, insomma, un po’ schifo fa. E abbia il coraggio di farsi avanti chi mai riavvolgerebbe il nastro della propria vita per rimetterci piede. Tanto, a far riecheggiare l’orripilanza dell’essere creature informi tra adulto e bambino provvede allegramente Netflix. E a giudicare dalla quantità di teen-serie sfornate nell’ultimo anno, deve peraltro averci preso parecchio gusto. Si tratta di un genere furbescamente sicuro, in fondo. Ipoteca lauti riscontri social e, almeno in premessa, attenzioni trasversali. Meglio, però, che per evitare imbarazzi ciascuna generazione se lo guardi per sé. Specie per quel che riguarda Sex Education.
Il dramedy britannico appena rilasciato – non serve troppo acume intuitivo per capirlo – parla infatti di sesso. Ma approfittando questa volta di tutta l’elasticità narrativa concessa dallo streaming, lo racconta nella maniera più esplicita e meno edulcorata, in tutte le sue declinazioni, non tanto per trasgressione o lussuria, quanto piuttosto come istinto esplorativo attraverso il quale definire se stessi, il rapporto con gli altri, le proprie inclinazioni.
La stramberia, ad ogni modo, è che a farsi carico del valore educativo della faccenda sia lo sfigato Otis (l’eccellente Asa Butterfield), che di esperienza proprio non ne ha. Anzi, dalla tempesta ormonale che ha contagiato ogni anfratto del suo liceo, pare essere addirittura immune. Chi non lo sarebbe, del resto, se per madre avesse una sessuologa fricchettona (la spassosa Gillian Anderson), con il vizio dell’analisi non richiesta e una predisposizione a infrangere ogni barriera di intimità?
Cresciuto in una casa trasudante erotismo da ogni ninnolo, Otis porta un bagaglio talmente pesante di informazioni sull’argomento, da aver sviluppato ansie multiple e un blocco insormontabile. All’idea del più sottile principio di eccitazione, per intenderci, rifugge invocando il potere calmante di David Bowie.
Eppure, al tempo stesso ha acquisito una sensibilità incredibilmente rara per i suoi sedici anni. Così da lasciarsi trascinare dalla nuova compare (e cotta segreta) Maeve (Emma Mackey) in un business fondato sulle disavventure sessuali dei suoi coetanei. Tutto quel che apprende origliando le sedute della madre, ovvero, Otis lo ricicla in consigli terapeutici da dispensare in cambio di qualche banconota, con inattesa e bizzarra efficacia. (“Sai, è strano,” gli dice uno dei suoi pazienti. “Hai la mia stessa età, ma sei saggio. Sei come mia madre, ma nel corpo di un ragazzino.”)
Grazie ai bisogni di chi si affida al suo protagonista, dunque, Sex Education riesce a non precludersi alcun argomento. La creatrice Laurie Nunn è assai brillante nell’affrontare le paure di non essere all’altezza, il bullismo (cyber e non), i tabù radicati, i falsi miti creati dalla pornografia, la scoperta omosessuale e l’intolleranza (“Lo sai che l’omofobia fa molto 2008? È fuori moda”) senza cadere nella pedanteria di Tredici, nell’inefficacia di Everything Sucks! o nel voyeurismo di Élite.
Gli stereotipi di partenza, più o meno, sono gli stessi. Ma nel corso degli otto episodi vengono intricati con tale profondità da far crollare la classica struttura sociale da high school drama/comedy. Svanisce la lotta quotidiana tra atleti e nerd, reginette e bruttarelle. Ogni storia smuove empatia scoperchiando ansie comuni.
Non ci si appassiona quindi soltanto alle piccole conquiste di Otis e alle eccentricità di sua madre. Perché c’è anche la tenera esuberanza di Eric (Ncuti Gatwa), il suo migliore amico gay. C’è la scontrosità di Maeve, che intimorisce pur di non rivelare la propria fragilità. C’è l’aggressività di Adam (Connor Swindells), popolare vessato dallo schiacciante senso di inadeguatezza. E c’è l’ingenuità di Aimee (Aimee Lou Wood), snob ma segretamente poco snob.
Ciascuno di loro (e molti altri) ha un diverso e narrativamente solido trascorso di traumi, euforie e timori che trova espressione nel proprio modo di vivere il sesso. Figure comiche con problematiche dall’aura drammatica. Cosicché – se davvero si dovesse cedere al paragone – Sex Education ha una piacevolezza molto più vicina a quella che ha fatto di The End of the F***ing World la serie migliore dell’anno appena concluso. Solo, anziché sfumare gradualmente la commedia in dramma, preferisce snodarsi tra ironie deliziose e cadute nell’amaro meno confortevole. Con uno spirito d’intelligente sfacciataggine che ridona agli adolescenti un’umanità spesso oscurata dal pregiudizio adulto.