Il problema di ‘Summertime’ è che esiste ‘Skam’
Il problema di Skam è il suo essere una serie tv per adolescenti. O meglio, la versione italiana di una nota serie tv per adolescenti. Perché se la poca verosimiglianza del genere alimenta già da sé il pregiudizio, figurarsi i precedenti che questo paese ha nel vandalizzare format e immaginari televisivi pescati all’estero. Solo che poi, quando la curiosità prevale, si scopre che Skam l’adolescenza la racconta con normalità, realismo e rispetto; e che nella struttura originale della serie – creata in Norvegia – inserisce la cultura italiana con un egregio equilibrio. Così dopo averla vista s’inverte percezione: non è più il teen drama a essere un problema per Skam; ma è Skam a diventare un problema per gli altri teen drama.
Ad esempio, l’esistenza di Skam è un grosso problema per Summertime, la nuova serie tv di Netflix dedicata ai più giovani, e la fa sembrare ancora più piccola e inconsistente di quanto già non sia.
Metterle a confronto è abbastanza inevitabile. Anche perché il principio di partenza è più o meno lo stesso: raccontare storie di adolescenti alle prese con le esperienze e le incertezze che la loro età prevede, impacchettandole in una confezione appetibile per i loro coetanei. Ci sono giovani interpreti che ben si prestano alla creazione di contenuti social, per intenderci. E colonne sonore già pronte per diventare playlist condivise, grazie a una selezione accurata di brani pop e rap, indie e trap.
La differenza però sta nel contenuto della confezione, e soprattutto nel modo in cui viene raccontato.
Skam, arrivata in Italia nel 2018 su TIMvision, segue molto la traccia della versione originale norvegese. La sua è una narrazione corale di tante storie personali. C’è un gruppo di normali ragazzi che frequentano un normale liceo romano e nel frattempo si confrontano con i primi importanti passaggi di vita: le prime amicizie serie, i primi amori, la prima volta, le prime ubriacature. Ogni stagione si concentra su di un personaggio in particolare, ma di pari passo anche tutti gli altri avanzano nel loro percorso di evoluzione.
Summertime invece è una rivisitazione di Tre metri sopra il cielo, il romanzo di Federico Moccia che nel 2004 diventò un film con Riccardo Scamarcio. Al suo centro c’è la storia d’amore estiva tra Summer (Coco Rebecca Edogamhe), una diciottenne riflessiva e introversa, e Ale (Ludovico Tersigni, presente anche in Skam), un pilota di moto impulsivo e festaiolo. Certo, nella sua Cesenatico che pare Miami vivono anche altri personaggi. Ma le loro figure restano ferme, ancora più monodimensionali di quelle dei due protagonisti. Cosicché la trama sembra seguire una combriccola di individui intenti a farsi i fatti propri, finché ogni tanto non si ricordano delle reciproche esistenze.
Summertime infatti l’adolescenza la guarda da fuori. Per quanto sintonizzati con i tempi attuali, i suoi ragazzi rientrano nelle categorie precostituite del teen drama tradizionale. Ci sono la brava liceale e il ribelle, l’amico tenero e quindi destinato a rimanere tale, l’amica lesbica e spigliata, la ex fidanzata menosa che a scuola ci va coi tacchi. I loro trascorsi quasi non esistono (e in realtà non viene neppure il dubbio che ne abbiano). Perciò le loro reazioni sembrano sempre troppo sproporzionate rispetto alla reale entità dei fatti. Anche se sono adolescenti, e le reazioni sproporzionate definiscono la loro natura.
Uno sguardo impigrito sul convenzionale che non ci si aspetterebbe da una squadra di otto sceneggiatori ben assortiti tra giovani e meno giovani. Specie dai due ideatori della serie – cioè Mirko Cetrangolo e Anita Rivaroli – che hanno collaborato a produzioni piuttosto riuscite, come L’amica geniale e la stessa Skam.
Summertime, insomma, è il prototipo di serie che alimenta il pregiudizio verso i teen drama. Uno di quei racconti che replicano l’adolescenza ideale che la tv ha sempre proposto, facendoci credere che le storie d’amore nascano da sguardi intensi e incontri fortuiti, mentre nella realtà sono chiaro segnale da psichiatria.
E infatti in Skam lo sono. Il suo è un racconto che s’intreccia al reale con una precisione che forse solo alla britannica Skins era riuscita finora. È il progetto di base, a prevederlo: conoscere i più giovani dall’interno del loro mondo e creare un prodotto solo per loro, senza ammiccare anche agli adulti. Come nell’originale, i personaggi della versione italiana sono così normali da scansare ogni categoria. C’è Eva (Ludovica Martino), che ha voti discreti, un fidanzato e poche amiche; c’è Eleonora (Benedetta Gargari), che colma l’assenza dei genitori prendendosi cura di amiche e piante; e certo, ci sono anche Martino (Federico Cersari) e Sana (Beatrice Bruschi), uno omosessuale e l’altra mussulmana, eppure mai appiattiti solo su questi aspetti.
Skam è il frutto di un talento molto raro di questi tempi, specie tra gli sceneggiatori italiani: saper ascoltare e osservare, mettendo da parte la smania di esprimere la propria visione del mondo. Il suo ideatore, Ludovico Bessegato, ha parlato spesso del suo dialogo continuo con i veri giovani, siano quelli incontrati nei licei o i ragazzi del cast. Lo si nota dal rispetto dei piccoli drammi, mai minimizzati. E da scene che, alla fine, accomunano chiunque sia stato adolescente almeno negli ultimi vent’anni: i panini all’intervallo, i ripassi in macchina, le feste che deludono sempre le aspettative, le corse di gruppo al consultorio per poi scoprire che “non c’è nessun bambino nella tua pancia, solo aria”.
Una simile capacità di osservazione, in Italia, appartiene soltanto a Gomorra. E produce una scrittura tanto densa da non aver bisogno di particolari espedienti narrativi ed estetici. Tipo la fotografia pregiata di Federico Schlatter – dove le discromie non esistono e l’azzurro pervadente lenisce il crollo nervoso procurato dalla serie – sotto la quale Summertime ha cercato di nascondere la sua pochezza narrativa.
Non ci fosse stata Skam, forse Summertime ci sarebbe riuscita, a sembrare credibile. Invece ha finito con l’abbindolare molto più gli adulti (specie quelli cresciuti con storie di questo tipo), dei giovani a cui indendeva rivolgersi.
L’errore di Summertime è stato prendere una storia e adattarla all’adolescenza. Quando Skam aveva già mostrato tutto il valore del prendere l’adolescenza e farne una storia.
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