I migliori personaggi tv del 2020
Il 2020 sta per finire (per fortuna), e come ogni anno c’è da fare un bilancio delle serie, degli episodi e dei personaggi che si sono visti in tv. Stavolta però i secondi hanno avuto un ruolo particolare e più centrale del solito, e perciò partiamo da loro. In questo 2020 un po’ strano, infatti, si sono viste tante serie tv brevi e piccole, che si sono affidate moltissimo alla personalità dei propri personaggi. Ci sono state storie cucite su misura di adolescenti in crisi e altre che qualche attore più adulto si è cucito su misura da sé. Infine ci sono state quelle che, nonostante fossero cucite sulla qualità dei loro protagonisti, hanno finito per fare risaltare la particolarità dei personaggi secondari. Con l’aggiunta di un comico molto famoso che dopo vent’anni di tv non è mai stato così attuale come oggi.
10 bei personaggi visti in tv nel 2020
Sana Allagui
(Beatrice Bruschi)
SKAM Italia
Tutti i personaggi di SKAM Italia sono un perfetto concentrato di realismo, ma Sana è quella con il mondo interiore più curioso da esplorare. Va’ a sapere infatti come si sente una ragazzina musulmana la cui fede (non imposta) cozza con molte delle libertà che i suoi amici possono prendersi. Ludovico Bessegato, creatore della serie, non ne ha fatta però la solita questione retorica di differenze culturali. Bensì ha individuato la religione come l’elemento di sfogo di quel tipico malessere adolescenziale per cui non ci sente mai al posto giusto. Non ci fosse stata la quarta stagione – come previsto in partenza – ci si sarebbe persi l’altra metà della faccia tagliente cinica di Sana. E pure un’occasione per mostrare che, al di là del colore della pelle o di quanti veli si portino in testa, nei personaggi ci si identifica per come sono dentro.
Travis Stubbs
(Alexander Skarsgård)
On Becoming a God in Central Florida
In realtà, nella storia un po’ assurda di On Becoming a God in Central Florida, il personaggio di Travis Stubbs è durato il tempo di un episodio. E cioè i 40 minuti necessari a dare a sua moglie (Kirsten Dunst) la motivazione per vendicarsi della società di marketing piramidale che ne ha causato indirettamente la morte. Sono minuti di gloria assoluta e indimenticabile, però. Sia per la parità di genere, perché per una volta non è una donna a sognare di riscattarsi con la vendita di rotoli di carta igienica porta a porta. Sia per lui stesso, che rampante (e sudatissimo) indossa guanti e frac per accomiatarsi dalla vita in ufficio, incurante dello sconcerto dei colleghi. Il suo percorso dal fanatismo per gli articoli casalinghi allo stomaco di un coccodrillo è miserabile, e in quanto tale tragico. Ma la verità è che ci si diverte parecchio.
Beth Harmon
(Anya Taylor-Joy)
La regina degli scacchi
La questione da capire qui è se il merito sia più di chi ha scritto il personaggio (Walter Tevis) o del magnetismo di chi lo interpreta (Anya Taylor-Joy). Resta comunque il fatto che da Beth Harmon, ragazza prodigio degli scacchi con una dipendenza da tranquillanti, non ci si aspettava di farsi coinvolgere così tanto. Basta vederla anche in un solo fotogramma per assorbirne tutta la sofferenza, la determinazione, l’eleganza, l’arguzia, l’ironia. La sua evoluzione ambientata negli anni Sessanta si sviluppa in una piccolissima manciata di episodi, eppure si ha l’impressione di compiere un viaggio lungo e completo come nemmeno nell’arco di parecchie stagioni.
Connell Waldron
(Paul Mescal)
Normal People
Dopo un decennio a seguire personaggi femminili intenti a smontare gli stereotipi, si è scoperto che quelli maschili erano forse anche più stereotipati. Solo, mentre le prime si sono emancipate con aggressività, i secondi hanno iniziato a farlo – da poco – mostrando le proprie fragilità. L’esempio perfetto è Connell, il ragazzo che in partenza emana narcisismo, e man mano rivela insicurezza, confusione e un costante senso di inadeguatezza, ma proprio per questo è solido e rassicurante. Certo, la sua persona non è di derivazione televisiva: l’ha creata la scrittrice Sally Rooney. Ma Paul Mescal si è infilato benissimo nella durezza dei lineamenti, la morbidezza degli occhi e le esitazioni del corpo. Portandone gli attacchi di panico e la difficoltà a tirar fuori emozioni a un livello molto più potente di quello scritto.
Yanky Shapiro e Moishe Lefkovitch
(Amit Rahav e Jeff Wilbusch)
Unorthodox
Nella teoria sono i due antagonisti che dovrebbero riportare l’eroina Esty al quartiere ebraico ultraortodosso di New York dal quale è fuggita. Nella pratica sono invece l’incarnazione di quanta fragilità si accumuli dietro l’integralismo. Uno, Yanky, non è tagliato per il maschilismo con cui la sua comunità esige si gestisca un matrimonio combinato. L’altro, Moishe, preferisce farsi usare come minaccioso risolutore, piuttosto che staccarsi da una realtà lo opprime. Cosicché, là fuori, nella Berlino dove tutti sono liberi di essere ciò che vogliono (anche troppo, per la serie), il loro disagio affiora disordinato. A muoverli non è la cattiveria, bensì la paura di non riuscire a darsi e crearsi un valore al di fuori della comunità in cui sono nati. La critica ha ragione: la bravura della protagonista Shira Haas tiene in piedi la serie. Ma sono loro a rendere autentico il fondamentalismo religioso che racconta.
Beniamino Rossini
(Thomas Trabacchi)
L’Alligatore
Da uno come zio Beniamino ci si aspetta tutto fuorché violenza criminale: è un omuncolo smilzo, con la zazzera lucida, i baffetti tinti di mascara e un immancabile borsello che interseca gilet e foulard coordinati. Invece proprio a lui si affida l’ex compagno di carcere l’Alligatore (Matteo Martari) per cavare informazioni dai sospettati delle sue indagini senza licenza né pistola. Così dopo aver fatto pisciare addosso dalla paura il malfattore di turno, Beniamino non se ne vanta: si sdegna per lo sporco. Perché sempre lui è anche la parte comica di questa serie noir, con un repertorio di motti borbottati con le vocali slabbrate dell’accento milanese. Il contrasto Thomas Trabacchi lo ha reso benissimo, aggiungendoci anche un po’ di velata malinconia. La sua è una caricatura che da sola dà una ragione valida per guardare un episodio e poi un altro ancora.
Arabella Essiedu
(Michaela Coel)
I May Destroy You
La cosa molto facile per Michaela Coel era che i personaggi come Arabella – donne, sboccate, spiantate – ormai la tv li adora. La cosa molto difficile era però ritagliarsi uno spazio di originalità. La sceneggiatrice e attrice britannica ci è riuscita prendendo un trauma molto grave – una violenza sessuale subita davvero – e mostrando come si cerca di sopravvivere a tutto quello che può smuovere. Il che sembra drammatico, non fosse raccontato da un disastro di trentenne che cerca di capire qualcosa delle sue contraddizioni, attraversando lucidità e negazione, altruismo ed egoismo, sofferenza ed euforia, muovendosi per spasmi fisici assolutamente ridicoli. Non c’è nemmeno una reazione, nel suo percorso, che sia un minimo prevedibile. Fatta eccezione per il manifesto della procrastinazione che apre la serie.
Ted Lasso
(Jason Sudeikis)
Ted Lasso
Non è chiaro se la storia di Ted Lasso – allenatore di football in un liceo americano ingaggiato da squadra di Premier League inglese – sia volutamente poco divertente. È chiaro però che i personaggi comici che fanno poco ridere in genere indispongono, Ted Lasso invece no. Il punto del suo percorso non è infatti sbeffeggiarne l’incompetenza (ormai non funziona più). Bensì affezionarsi all’inscalfibile bontà con cui si approccia a un mondo che lo maltratta per sentirsi superiore. Ted Lasso è un buono, un ingenuo, uno che resta ottimista anche se la moglie scansa i suoi “ti amo”. Su di lui il cinismo ribalza e pian piano si scioglie. Vederlo ammorbidire la realtà che lo circonda dà la speranza, almeno per qualche mezz’ora, che contro la cattiveria funzioni meglio la gentilezza.
Mercedes Woodbine
(Brandee Evans)
P-Valley
Finora le spogliarelliste delle serie tv erano limitate a sole due funzioni: dare una misura di quanto fossero viziosi e misogini gli antieroi; oppure farsi salvare per illuminarne la bontà d’animo nascosta. Poi Mercedes è arrivata, a colpi d’anca si è presa il primo piano e ha invertito la tendenza. Perché per lei muoversi attorno a un palo è sminuente solo in parte. Per lei il mestiere è l’unica via per l’indipendenza, e perciò ne padroneggia ogni dettaglio: la fatica, l’allenamento, le mance, i costumi, le musiche e i clienti per cui esibirsi. La sua convinzione prende gli occhi e li sposta sull’arte, sull’esplosività atletica, sui muscoli scolpiti che riflettono le luci violacee. Della nudità, insomma, quasi non ci si accorge.
Larry David
(Larry David)
Curb Your Enthusiasm
Sono vent’anni che Larry David balza in tv a intervalli irregolari con Curb Your Enthusiasm, eppure il suo personaggio non è mai stato così attuale. Lui, infatti, era quello che siamo diventati ben prima che iniziassimo a diventarlo: germofobico, misantropo e politicamente esasperato. La prova concreta è una stagione costruita sull’elogio all’igienizzante quando ancora il coronavirus non circolava. Non ci sono altri personaggi tv che nel 2020 siano diventati un simile spirito guida per imparare a vivere in isolamento. David – quello finto e quello vero – non ha fornito evasione dalla pandemia, ma il conforto di pensare che a volte starsene a casa, lontano dalle noie quotidiane non sempre è un male. La capacità di trollare democratici e repubblicani riuscendo a farsi amare da entrambi, invece, è quasi solo sua: per assorbirla ci vuole tempo.
Le menzioni speciali
Sam (Jude Law)
The Third Day
Per vicinanza e solidarietà, più che altro. Non si sa se i suoi traumi derivino più dall’essere finito su un’isola di matti o dall’aver girato un episodio di 12 ore in diretta.
Fraser e Caitlin (Jack Dylan Grazer e Jordan Kristine Seamón)
We Are Who We Are
Elio di Chiamami con il tuo nome era molto simile a questi due, perciò nella tv del 2020 ci sono stati personaggi più originali. Ma la tenerezza adolescenziale con cui cercano di capire chi siano e quale posto occupino nel mondo, Luca Guadagnino sa raccontarla sempre molto bene.
Angelica (Carlotta Antonelli)
Suburra
In lei c’è un concetrato di contrasti che intenerisce: è grande e ancora piccola; minacciosa e paurosa; zingara orgogliosa e sognatrice di un’esistenza diversa. Uno spin off sul suo personaggio non sarebbe una cattiva idea.
Petra Delicato (Paola Cortellesi)
Petra
Un’unione interessante di risolutezza e smarrimento, con un repertorio di battute che taglia in due qualsiasi interlocutore. Peccato solo che la serie non la risalti a sufficienza.