Serie TV

Golden Globe 2019 – La 76esima edizione in 6 parole

Che strani questi Golden Globe 2019. Son quasi sembrati l’anno zero delle cerimonie di premiazione in salsa hollywoodiana. Una diretta dai fasti ridotti, clamore sussurrato e idealismi contenuti, che ha fatto apparire la 76esima edizione dell’anticamera degli Oscar evento pallido rispetto al passato. Poche le tracce della protesta razziale del 2016, della rabbia anti-trumpiana dell’anno successivo e della rivolta femminista di dodici mesi fa. Armata di spugna, la mano della prudenza ha cancellato le inquietudini per restituire una Hollywood tornata in apparenza a un armonioso equilibrio, nei toni come nella spartizione dei riconoscimenti. Così, tra gli intermezzi condotti con sottilissima ironia dalla strana  coppia Andy Samberg-Sandra Oh, nessuno ha osato svettare. Segnando l’avvio di un’era cinematografico-seriale in cui ognuno può trovare il proprio angolo di successo. Oppure, l’imbocco di una rischiosa strada di appiattimento del microcosmo dei sogni al cui estro tutto era concesso.

I Golden Globe 2019 in 6 parole

#1 Strana coppia

Chi non si è interrogato sul motivo della scelta di Andy Samberg e Sandra Oh conduttori si faccia avanti. Perché l’accoppiata, bisogna ammetterlo, suonava strana anche a loro stessi. Tanto che sul ruolo di presentatori di comodo, di sfigati dalle battute innocue i due hanno giocato ogni proprio intervento, facendo della cerimonia una surreale e indovinata parodia di sé. Deliziosamente sottili al punto di risultare noiosi, si sono esibiti in un’apertura difficile da cogliere di primo acchito, specie se tradotta in maniera rocambolesca. Dalle stilettate accuratamente non mordaci (“Hey, Bradley Cooper. Sei hot.”, “Bam, sistemato!”) a quelle più affilate, fino all’orgoglio conclusivo per la platea multirazziale, da tempo non si vedeva una rivisitazione così elegante e insolita delle trite paternali hollywoodiane.

Golden Globe 2019-Apertura Sandra Oh e Andy Samberg
Il monologo di apertura di Sandra Oh e Andy Samberg in 6 punti (qui il testo integrale)

#2 Politica

Dopo un triennio di facili e feroci attacchi  all’antagonista più temibile, Hollywood è riuscita a resistere alla tentazione di nominare Trump. Di lui nessuna traccia nello sketch di apertura, nei sempre idealisti discorsi di ringraziamento e nella solita, enfatica arringa dell’insignito del premio Cecil B. DeMille (Jeff Bridges, questa volta). Gli sguardi, piuttosto, si sono concentrati sul potere di cambiamento nelle mani dell’industria del racconto su schermo. Con un effetto tanto apolitico da provocare straniamento.

#3 Prudenza

La parola chiave dei Golden Globe 2019 ha avvolto soprattutto la spartizione dei premi. Equilibrate erano state le nomination e altrettanto equilibrate si sono rivelate le vittorie. Anche al punto, però, di sfilare il globo d’oro da sotto al naso di chi se lo sarebbe meritato di più. Nel limite delle categorie disponibili, la Hollywood Foreign Press Association ha distribuito i riconoscimenti con cura smaccatamente chirurgica. E non si capisce (o forse sì) se per non scontentare le tante buone serie tv o per obbligo perbenista all’elogio della disuguaglianza.

#4 Incognite

Ogni premiazione, è normale, crea, conferma e delude aspettative. Difficilmente, però, si chiude con più incognite di quante ce ne fossero in partenza. E invece, nonostante l’equilibrio delle cinquine scoraggiasse pronostici certi, il bilancio finale lascia interdetti su come Patricia Arquette sia riuscita a gabbare Amy Adams, Il metodo Kominsky sia stata la comedy più premiata e American Crime Story: L’Assassinio di Gianni Versace abbia fregato quelle gran belle miniserie di Sharp Objects e A Very English Scandal. L’unico trionfo sensato, insomma, è parso quello di The Americans, che ha chiuso meritatamente il suo il cerchio. O quasi, vista la beffa ai danni di Matthew Rhys per mano del bodyguard robotico Richard Madden. Che al palco, peraltro, si è appropinquato con quasi più colpevole stupore del pubblico.

via GIPHY

#5 Sandra Oh

Se c’è una certezza, è che la 76esima edizione dei Golden Globe sia stata nel segno di Sandra Oh. Dal suo ruolo di conduttrice non era ben chiaro cosa aspettarsi. Dalla nomination come miglior attrice in un drama invece sì. L’interprete asiatico-canadese ha centrato con successo entrambi gli obiettivi, grazie all’amabile coerenza di una figura istintiva, maldestra, acuta. Là dove altri comici e presentatori di professione hanno spesso deluso, Sandra Oh si è lanciata con travolgente spontaneità. La stessa con la quale ha nel frattempo ridisegnato l’archetipo di eroina dello spionaggio, guadagnandosi (non solo per effetto dell’equa spartizione multirazziale) uno dei globi più meritati di quest’anno.

#6 Pubblicità

Infine, nel buon ritmo diretta da riconoscere ai Golden Globe 2019, è pressoché impossibile non soffermarsi sulla pubblicità. Non quella americana, sia chiaro. Ormai ci si è rassegnati all’abbondare dei broadcaster commerciali d’oltreoceano in fatto di interruzioni pubblicitarie. Per questo non si capisce come Sky Atlantic HD sia recidiva nel tentare di coprirle con un patchwork di spot ancora troppo corto. Gli stralci di serie tv della cui distribuzione il canale fa un proprio vanto non sono cattiva idea. Ma sorbirseli a rotazione per una notte intera non aiuta certo a combattere la sonnolenza. E se davvero qui trovano spazio i titoli più blasonati, sarebbe ora di riconoscerne il pregio con un commento in studio pari a quello riservato ai film da Oscar.

Leggi anche

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *