Storia breve (ma completa) delle Winx
Un po’ chiunque sia stato bambino (o abbia avuto un figlio, fratello, nipote bambino) nel primo decennio degli anni Duemila sarà incappato almeno una volta nelle Winx, le fatine molto colorate che nella serie animata Winx Club studiavano magia e intanto salvavano il mondo. Il 22 gennaio, a quasi 17 anni esatti dal loro arrivo in tv, Netflix ne rilascerà una nuova versione in carne e ossa, che è prodotta in America ma rappresenta un passo significativo per il mercato televisivo italiano. Perché aggiunge un altro tassello alla storia eccezionale del loro creatore Iginio Straffi, che da zero ha ideato un modello narrativo e produttivo unico in Italia e assai apprezzato nel mondo.
Chi è Iginio Straffi, per cominciare
È un fumettista marchigiano e una delle principali menti creative nel mondo dell’animazione italiana. Dopo aver collaborato con diversi studi di animazione europei, nel 1995 Straffi decise di fondarne uno proprio e chiamarlo Rainbow. Da quel momento, nel giro di un decennio, Rainbow ebbe una crescita velocissima e ancora oggi è l’unico studio di animazione italiano indipendente a occuparsi internamente di tutte le fasi di lavorazione dei suoi contenuti e dei prodotti a loro collegati.
Per farla molto breve, Rainbow è una piccola Disney. Al momento ha una media di 700 artisti che ogni giorno lavorano insieme per produrre un solo minuto di una serie animata. Inoltre ha una sua casa editrice che gestisce circa 174 pubblicazioni mensili, la società di produzione Colorado (quella del programma comico su Italia 1), un’agenzia di talenti, un’azienda di giocattoli, uno studio di animazione CGI (ossia specializzato in computer grafica), e pure un parco divertimenti.
La storia di Rainbow è eccezionale per due motivi. Il primo è che, fin dalla sua creazione, Straffi non ha mai avuto il supporto di una major importante (come Pixar con Disney, per intenderci). Il secondo è che Straffi ha colmato questa mancanza con una strategia molto fruttuosa: il licensing, cioè la vendita dei diritti dei suoi contenuti e personaggi a terzi, per la creazione di nuovi prodotti.
Grazie a queste licenze (circa 500 nel mondo, sparse in diversi settori), Rainbow ha esteso al massimo l’ampiezza e l’influenza delle sue produzioni. Il che le ha consentito – e le consente tuttora – di fidelizzare gli spettatori e al contempo ottenere guadagni da reinvestire in nuovi progetti.
Questa strategia, Rainbow l’ha applicata a tutte le sue produzioni: dal suo primo cartone Tommy e Oscar alla serie per ragazzi Maggie & Bianca Fashion Friends, fino ad arrivare alla recente 44 Gatti. Ma l’esempio più efficace, che le ha permesso di guadagnarsi una certa attenzione nel resto del mondo, è proprio quello di Winx Club.
Chi sono le Winx?
Un gruppo di giovani ragazze che vive in un mondo magico chiamato Magix e mentre studia in una scuola per aspiranti fate deve barcamenarsi tra problemi adolescenziali e nemici pericolosi. Il nome “Winx” non è altro che un’alterazione della parola inglese “wings”, che significa “ali”. Nel logo del titolo, infatti, la x è disegnata proprio come un paio di ali fatate.
Straffi creò le Winx per la prima volta a fine anni Novanta, ma trascorse alcuni anni a perfezionarne il progetto. Il primo episodio di Winx Club riuscì ad andare in onda il 28 gennaio del 2004. Da allora, Straffi ne ha prodotto – insieme a Rai prima e Nickleodeon poi – oltre 200 episodi divisi in 8 stagioni. E non molto tempo fa ha lasciato intendere che a breve potrebbe uscirne una nona.
Tuttavia il percorso di Winx Club è piuttosto differente da quello di altre serie animate italiane, che spesso sono prodotte da piccoli studi indipendenti e trovano spazio al massimo in qualche altro paese europeo. Winx Club è stata venduta finora in 150 paesi, anche quelli dove è più difficile farsi notare, come gli Stati Uniti o la Cina. Il suo marchio ha generato due spin-off (di cui uno World of Winx, coprodotto con Netflix), un musical, più di un centinaio di libri, manuali e romanzi, una mostra itinerante e una rivista mensile che viene pubblicata senza pause da 17 anni. Di Winx Club esistono infine anche tre film, che però non hanno ottenuto lo stesso successo della serie. Un po’ per l’inesperienza e le risorse limitate di Rainbow in campo cinematografico; e un po’ per l’eccessiva severità della critica italiana, ha detto Straffi.
Al di là dell’insolito modello produttivo, comunque, il successo di Winx Club si deve anche al contenuto della serie, che ha messo insieme stili molto diversi e temi importanti.
Cos’hanno di speciale?
Prima di tutto, la forma. Le Winx, ha spiegato Straffi, sono il frutto di una contaminazione tra l’animazione occidentale e quella giapponese. Il loro aspetto è molto simile a quello stiloso e colorato di una Barbie; si trasformano in fatine in maniera quasi identica a quella di Sailor Moon; e il tutto avviene all’interno di una scuola di magia per adolescenti, proprio come in Harry Potter.
Per renderle contemporanee, Straffi prese spunto da alcuni personaggi piuttosto iconici dei primi anni Duemila: la fata Bloom è ispirata alla cantante Britney Spears; Stella all’attrice Cameron Diaz; Flora a Jennifer Lopez; Tecna alla cantante Pink; Musa all’attrice di origine taiwanese Lucy Liu; e Aisha alla cantante afroamericana Beyoncé.
Per quanto riguarda la storia di partenza, invece, Straffi si ispirò a quella di una sua compagna di università cresciuta da genitori adottivi. Proprio come la protagonista principale Bloom, che nel corso della prima stagione scopre di essere la principessa di un regno perduto, affidata da piccola a una coppia di terrestri. Da qui Straffi sviluppò gli episodi in modo da toccare i tanti aspetti della crescita adolescenziale, affrontati dalle sue protagoniste attraverso la forza della fiducia, dell’onestà e soprattutto della solidarietà femminile.
Winx Club non fu certo la prima serie italiana di questo tipo. Pochi anni prima era già uscito Witch, un fumetto con una storia simile e molto inclusiva, poi trasformato in una serie tv dai francesi. Winx Club però è riuscita a crescere in continuazione. Nonostante le critiche di chi la riteneva poco femminista e ipersessualizzata (si è discusso molto dei fisici dei personaggi, degli abiti succinti, e di alcune inquadrature inappropriate), si è creata un nucleo coriaceo di spettatori e insieme a loro si è evoluta. Il suo profilo Instagram, per dire, è seguito da 180.000 utenti che parlano lingue diverse. E proprio a loro Netflix ha pensato quando ha deciso di fare una versione in carne e ossa della serie.
Come sarà la nuova serie?
Assai più breve (la prima stagione è composta da 6 episodi) e un po’ diversa dalla versione animata. Tant’è che, visto il trailer, qualcuno se ne è già lamentato. Fate: The Winx Saga è stata re-immaginata in una versione assai meno colorata e infantile. L’idea infatti è di farla rientrare nel filone dei teen drama dark e soprannaturali (come Le terrificanti avventure di Sabrina) su cui Netflix ha puntato parecchio negli ultimi anni.
La serie sarà sempre ambientata in un mondo parallelo, nella scuola per aspiranti fate di Alfea. Qui la sedicenne Bloom (Abigail Cowen), una studentessa cresciuta nel mondo degli esseri umani, in California, dovrà integrarsi e imparare a gestire le proprie emozioni per evitare che i suoi poteri diventino distruttivi. E la cosa non è delle più facili, per un’adolescente.
Insieme a lei c’è il solito gruppo di fate compagne di stanza, interessi amorosi, antagonisti pericolosi, che rispetto al cartone è un po’ cambiato. Per capire come, basta sapere che Netflix ha affidato il progetto a Brian Young, tra gli autori della famosa serie fantasy The Vampire Diaries.
Young ha detto di aver lavorato per rendere la serie il più attuale e realistica possibile. Di conseguenza ha ridotto di molto lo stile manga, specie nel vestiario. Ma soprattutto ha aggiornato in modo molto visibile l’inclusività della serie. Ad esempio, c’è il nuovo personaggio Terra (Eliot Salt, già vista in Normal People), che rinnova lo standard fisico spigoloso delle Winx animate. Inoltre nel nuovo mondo magico di Fate le categorie di personaggi hanno confini molto elastici. Per intenderci, nella serie animata il mondo delle Winx era protetto dalla loro controparte maschile, i cosidetti “specialisti”. Nella nuova versione ognuno può scegliere invece la strada che vuole: le ragazze diventare specialisti, i ragazzi diventare fate.
L’intento di Fate, insomma, è quello riportare le Winx a una dimensione più concreta rispetto alla serie animata, dove l’immaginazione non aveva limiti. Il tutto senza snaturare il senso della serie originale e i temi da lei trattati, che in fin dei conti sono piuttosto universali.
Per farlo, Young ha collaborato con Straffi – che è anche produttore esecutivo – tenendo come riferimento i vecchi spettatori della serie originale, ormai giovani adulti e quindi alle prese con problemi diversi e una diversa visione del mondo. Quanto alla possibilità di deluderli, Young ha detto di non essere troppo preoccupato dai cambiamenti portati da Fate. “È eccitante sapere di avere già un pubblico così coinvolto,” ha spiegato alla rivista FilmTV. “Poi so che non tutti possono apprezzare sempre tutto, e va benissimo così.”