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‘Sharp Objects’, il fascino tagliente del thriller tormentato

Fosse opera di David Lynch, Sharp Objects sarebbe pervasa da un perenne senso di presagio. Il silenzio della fittizia cittadina di Wind Gap (Missouri) è infatti soltanto disturbato  dall’incessante ronzio elettrico di ventole di ogni tipo. Segno mica da ridere nella simbologia di Twin Peaks, poiché sintomo dell’imminente passaggio del demone Bob.

Nella nuova serie tv di HBO, invece, il messaggio è l’esatto opposto. Nulla accade, tutto si muove per inerzia, indolenzito dal caldo opprimente che appiccica la pelle. La ruota gira, insomma, senza mai smuoversi davvero dal passato.

Sharp Objects recensione
YouTube/HBO

Di demoni, di inquietudine, sembrano esserci soltanto quelli di Camille, che per guardare finalmente avanti è dovuta fuggire a St. Louis, imparando nel tempo ad anestetizzare il malessere con massicce dosi di alcol. Per ogni cicatrice autoinflitta a segnarle la pelle diafana c’è una ferita più profonda, legata a un trascorso di figlia rifiutata, sorella inadeguata, adolescente tormentata, cui reagire con affilata provocazione. Eppure, la sua incapacità di amare e farsi amare suscita perlopiù un’affascinante tenerezza. Un po’ perché a darle vita è l’innata dolcezza che sprigiona Amy Adams, un po’ perché è attraverso il suo sguardo interrotto che si snoda la serie.

L’impatto con il ritorno nella sua città natale – in qualità di reporter sulle tracce di un raccapricciante duplice omicidio – si articola in uno psichedelico lampeggiare di flashback e allucinazioni mentali, con cui la regia di Jean-Marc Vallée – come già visto in Big Little Lies – scombina i piani temporali e la linearità della trama.

Sharp Objects recensione
YouTube/HBO
Il che fa di Sharp Objects un thriller poco convenzionale, dove la reale colpevolezza perde di attrattiva, nel nome dell’interesse per l’analisi psicologica. Il feudo rurale di Wind Gap è dopotutto non così dissimile dalla montuosa Twin Peaks. Istinti feroci travestiti di forzata normalità, dei quali ricercare l’origine in una ragnatela di sentimenti devianti.

Poca azione, dunque, e molta introspezione segnano l’adattamento dell’omonimo romanzo di Gillian Flynn – stessa autrice di L’amore bugiardo – Gone Girl – tra le serie tv più interessanti dell’estate. Di claustrofobica lentezza, sì, ma minuzioso nell’arricchirsi di particolari. Non c’è solo sceneggiatura, non ci sono solo immagini venate di horror. C’è soprattutto una pioggia di parole incise in ogni scena, rivelatrici, più o meno ben nascoste (Vulture si è preso la briga di scovarle episodio per episodio e raccoglierle qui), che continuano a scrosciare fino alla fine. Anche dopo i titoli di coda.

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