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‘Seven Seconds’, lunga cronaca dell’inerzia sociale

Quanto tempo ci vuole per sovvertire il fluire ordinato di una manciata di vite? Un attimo, spesso si dice. Più difficile tuttavia quantificarlo. Tentativo da cui muove la premessa di Seven Seconds, racconto di come un’esistenza costruita con fatica possa capovolgersi in pochissimi secondi. Sette, per la precisione. Sufficienti a spazzare via la spensieratezza dell’adolescenza, da un lato, e la rettitudine professionale, dall’altro.

Una telefonata dopo una notte di lavoro, la paura di perdere un figlio non ancora nato, e la recluta della narcotici Pete Jablonski si ritrova inerme a trottolare sul ghiaccio, prima scorgere sotto il suo SUV blu le ruote di una bici e poco più in là un cumulo di neve rossa. Non si tratta però di una semplice e tragica fatalità. Oltre quel cumulo giace infatti agonizzante Brenton Butler, sedicenne afroamericano. E ammettere l’ennesima morte di un giovane nero per mano di un agente bianco farebbe pagare a Pete anche i precedenti di Ferguson, Chicago e Baltimora, avvertono i compagni. Meglio quindi cancellare ogni traccia e rimettere in moto lasciandolo al proprio destino, inghiottito dal silenzio dell’alba innevata.

Seven Seconds-recensione-Knapp-Lyons

Speranza vana, ovviamente. Perché il misfatto si scaglia prepotente contro lo specchio della realtà di Jersey City, lasciando ciascun frammento a rifletterne l’impatto sulle vite coinvolte.

Quelle, cioè, di due genitori divisi tra vendetta e giustizia, di colpevoli travagliati dal dilemma morale e dall’istinto di tutelarsi, di un’avvocatessa alcolista tormentata dal fallimento e di un detective cinofilo sottostimato dai colleghi.

Seven Seconds-recensione-Ashitay-Mosley
Ad ogni modo, la vicenda di Brenton non è che un pretesto per percorrere le strade più impervie dell’attuale cronaca statunitense. Tenendo ben saldo il filo dello scontro razziale, Veena Sud – già creatrice di The Killing – si addentra nella faticosa emancipazione dal ghetto, nella difficile riabilitazione dei veterani di guerra, nella corruzione delle autorità, nel potere della malavita, oltre che nell’accettazione del sentimento omossessuale tra religione e machismo. Nella serie Netflix ispirata alla pellicola russa The Major, emergono dunque tutte le ipocrisie di una società in cui il colore della pelle può determinare il valore di una vita e la visione del reale può distorcersi al punto da sviare il corso della giustizia. Con buona influenza mediatica, naturalmente.
Seven Seconds-recensione-Regina King

Tante tematiche, forse troppe, intensificate dalle interpretazioni (la rabbia lacerante di Latrice Butler è resa palpabile dall’eccellente Regina King), ma non dalla scrittura. Se l’episodio pilota intriga a sufficienza, i successivi nove si rivelano una costante ripetizione dello stesso schema, con evoluzione quasi nulla di racconto e personaggi. Il che appesantisce senz’altro la percezione dei non pochi minuti di narrazione – oltre 60 a puntata – rinnovando l’attesa di un punto di svolta che rimane latente.

Scelta leggibile come metafora dell’attuale inerzia sociale, certo. Ma quanto tempo si può resistere prima di avvertire il bisogno di passare a miglior serie?

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