Come vedere “Lost”, senza restarne delusi
Quando Lost si concluse sulla rete americana ABC, dopo sei stagioni parecchio popolari, era il 23 maggio del 2010 e la serata non passò tanto alla storia per aver chiuso un’importante epoca televisiva. I saluti nostalgici e gli omaggi alla portata rivoluzionaria della serie, infatti, passarono in secondo piano rispetto al brusio enorme – e alquanto polemico – dei molti spettatori che online e sui giornali si dissero insoddisfatti del doppio episodio finale. Negli anni, Lost è diventata così una serie da evitare o prendere con molta cautela: è convinzione diffusa che chi sceglie di guardarla stia sprecando del tempo, perché ne resterà quasi certamente deluso.
Ultimamente, però, le cose stanno cambiando. Complice il ventesimo anniversario della messa in onda del primo episodio, Lost è tornata a circolare su diversi servizi streaming (da qualche anno era già su Disney+, ma di recente anche Netflix e Prime Video l’hanno aggiunta ai rispettivi cataloghi) e una nuova generazione di spettatori sta cogliendo l’occasione per recuperarla, convincendo anche chi finora se ne era tenuto alla larga a darle una possibilità.
Per diversi critici televisivi, la cosa è molto positiva. Soprattutto perché si tratta una delle più importanti e influenti serie tv di sempre: su una storia tutto sommato semplicissima – un gruppo di sopravvissuti a un incidente aereo finiti su un’isola sperduta – Lost ha costruito una miscela di azione, fantascienza, mistero, filosofia e sentimento che ha segnato un punto di non ritorno. Ciò non significa, comunque, che ad appassionarsi molto alla serie non si corra rischio di restarne delusi. Per questo motivo, ci sono alcuni accorgimenti che chi si appresta a immergersi nel suo mondo (o anche chi vuole riprovarci) dovrebbe tenere a mente per godersela al meglio.

#1 Leggiti un po’ di spoiler
Lost è una serie basata sul mistero: lungo l’intero corso dei 119 episodi che precedono il finale, la storia intreccia senza sosta quesiti e rompicapi anche piuttosto contorti. A differenza di altre serie di questo tipo, però, conoscere in anticipo le risposte non guasta l’esperienza di visione. Anzi, può renderla migliore, anche perché molte delle cose che pensiamo di sapere su Lost potrebbero non essere vere.
Fin dal suo inizio, la serie ha attirato un seguito attivo di fan appassionati, che hanno cercato, elaborato, condiviso supposizioni e possibili risposte sui diversi misteri della trama. E dato che Lost andò in onda nello stesso periodo dell’ascesa dei social media, molte delle loro teorie – seppur errate – hanno avuto una risonanza maggiore delle spiegazioni fornite dagli stessi creatori della serie. Come l’interpretazione dell’ultimo episodio, La fine (The End nella versione originale), che ha dato origine a una diffusa falsa credenza sul destino deludente dei protagonisti. Non solo: la tendenza condivisa a vedere Lost come un gioco di enigmi ha contribuito ad accrescere le aspettative nei confronti del finale, che si pensava avrebbe risolto ogni interrogativo rimasto in sospeso. In molti pensano quindi che la serie abbia lasciato insoluti diversi misteri; anche se, osservando meglio, si scopre che la trama fornisce indizi per risolverne una buona parte.
A cosa servono gli spoiler, allora? A capire fin da subito il vero senso di Lost, senza lasciarsi influenzare dalle interpretazioni sbagliate. Il consiglio è di guardare le prime stagioni, farsi una propria idea sul significato degli eventi, e man mano integrare la lettura di qualche analisi o delle spiegazioni dei creatori. Non serve comunque spingersi troppo nel dettaglio, così ci si preserva lo stesso un po’ di sorprese.

#2 Focalizzati sui personaggi
In Lost il finale conta meno di quanto si pensi. E, in ogni caso, la componente su cui bisogna concentrarsi sono le storie dei personaggi. Il vero focus della serie infatti sono loro, e non gli enigmi.
Come ha scritto Time, anziché usare l’ultimo episodio per spuntare la lista dei misteri ancora irrisolti, i creatori preferirono portare a compimento l’arco di ciascun personaggio. Da un lato si trattò di una scelta più pratica che creativa: Liz Sarnoff, produttrice esecutiva della serie, ha spiegato che «le nostre sensazioni sul finale erano sempre, sempre che avrebbe dovuto essere molto emotivo e improntato sui personaggi, perché avevamo scoperto che, quando davamo risposte ai misteri, la gente solitamente le rifiutava».
In Lost, insomma, ciò che ha davvero importanza è il viaggio intermedio che i personaggi affrontano nel corso delle stagioni. Ognuno di loro va seguito come una specie di «mystery box» fatta di segreti, rimorsi e rimpianti, e tentativi di cambiare la propria vita grazie anche alla relazione con il resto del gruppo. Piuttosto, la cosa su cui può aver sbagliato la serie, ha osservato Time, è il brusco cambio di tono del finale: troppo sentimentale e sdolcinato, per una serie d’azione che fino a quel momento aveva abituato a sorprese brutali.

#3 Guarda i misteri in modo diverso
Se il fascino per i tanti misteri dell’isola è proprio irresistibile, per attutire il rischio di delusioni si può provare a considerarli da un’altra prospettiva. Non come puzzle ai quali trovare per forza una soluzione, cioè, ma questioni filosofiche su cui riflettere in modo più ampio. Secondo Time, così la serie diventa più interessante, perché apre un dibattito e consente di confrontarsi su dilemmi intricati: scienza contro religione, libero arbitrio contro fatalismo, la natura umana come buona o cattiva. Attraverso le posizioni dei personaggi e le svolte del racconto, insomma, Lost non fornisce affermazioni assolute su questi temi. Al contrario, li concepisce come conversazioni che includono diverse sfumature e linee di pensiero. In questo modo non solo seguirla può risultare più semplice, ma si è anche più pronti ad accettare che alcuni interrogativi restino aperti.

#4 Considerala un cimelio
Lo abbiamo detto, Lost ha segnato un prima e un dopo nella storia della televisione. Se la si guarda a posteriori, pur incappando in qualche passo falso, è stata pioniera di un formato sviluppato sulla piena orizzontalità della trama, e per questo più complesso e coinvolgente. Inoltre ha saputo gestire un numero di personaggi e linee narrative di rara ampiezza per l’epoca; ha sperimentato con i generi, spesso sfumandone i confini; si è posta ambizioni produttive, promozionali, e soprattutto intellettuali a cui la tv non era abituata.
A ciò si aggiungono le scelte audaci nel scegliere e tratteggiare i personaggi: Sayid Jarrah (Naveen Andrews), un soldato iracheno eroico ma a tratti anche controverso, in un periodo ancora molto segnato dagli attentati dell’11 settembre; Hurley (Jorge Garcia), un ragazzone mai definito solo dal suo peso; Jack Shephard (Matthew Fox), il cassico protagonista bianco, buono e agiato, che tuttavia lascia trasparire anche istinti oscuri e rabbiosi; e poi i coreani Sun e Jin Kwon (Yunjin Kim e Daniel Dae Kim), che parlavano solo nella loro lingua, in un’epoca televisiva dove gli americani mal digerivano ancora i sottotitoli.
Dentro Lost non c’è solo un pezzo enorme di storia della televisione: dai suoi episodi arriva una buona parte delle serie tv che abbiamo visto negli ultimi vent’anni. E scoprire da dove si sono originate, trovare le somiglianze con ciò che circola oggi in tv, ne amplifica il fascino.

#5 Vacci piano con il binge watching
Per godersi al meglio una serie tv, anche la modalità di visione fa la differenza. E proprio perché Lost è ricca di trame, eventi, svolte, enigmi e riflessioni complesse, il consiglio è di vederla con calma, un po’ alla volta, diluendola nel tempo.
D’altronde, si tratta di una serie costruita per richiamare gli spettatori davanti alla tv settimana dopo settimana, lo stesso giorno alla stessa ora, per mesi e anni. Gli episodi sono particolamente densi, stimolanti, con tanti dettagli – più o meno nascosti – da cogliere. E soprattutto, rispetto al ritmo velocissimo delle serie a cui siamo abituati oggi, le stagioni di Lost si prendono tutto il tempo necessario per srotolare gli eventi, riprendere le storie passate dei protagonisti, fornire indizi sui misteri dell’isola. Ad esempio, potreste trascorrere mezza stagione – la terza – a vedere i ribelli Kate (Evangeline Lilly) e Sawyer (Josh Holloway) rinchiusi in una gabbia; oppure dover aspettare decine di episodi prima di scoprire perché l’avventuroso John Locke (Terry O’Quinn) avesse una paralisi alle gambe.
Con Lost ci vuole pazienza, insomma: anche se la tentazione è di passare subito all’episodio successivo, vederla in binge watching rischia di appesantire e di non cogliere appieno la portata e il significato di ciascun episodio. Ancora oggi resta una delle serie più avvincenti, «un antidoto alle serie media di supereroi di Disney+, moralmente semplicistica e intellettualmente fallimentare», come l’ha definita Time. E poi – cosa non da poco – gli episodi hanno tutti la stessa, ragionevole durata di 43 minuti.
In conclusione…
Una volta capito il suo vero senso (e magari anche come va a finire), su quali aspetti focalizzarsi, perché sia così tanto acclamata e come sarebbe meglio vederla, Lost può diventare un’esperienza davvero appagante. Smettendo infatti di cercare risposte ai suoi misteri, ci si può concedere di posare lo sguardo anche su altre componenti meno cruciali della trama, come quella romantica o comica. Per quanto si sia presa sul serio, infatti, Lost ha saputo dare un certo valore anche agli episodi minori, ai momenti che fungono da riempitivo. Tutto quel che cioè fa parte del viaggio, non tanto della sua fine.