‘Catch-22’ e l’insensatezza comica della guerra
Si dice che nel 1961 Joseph Heller raccontò con tanto acume i paradossi di una Seconda guerra mondiale vissuta in prima persona, che il romanzo satirico in cui li raccolse – Comma 22 – non solo divenne capolavoro di letteratura e antimilitarismo, ma anche opera di difficile traduzione in altri formati narrativi. Mike Nichols (il tizio che ha diretto Il Laureato, per dirne uno) provò a farne un film nel 1970, e non gli andò molto bene. Il che spiega perché in questi giorni la miniserie Catch-22 si stia facendo rimirare in tivvù nell’enfasi generale già alimentata dal coinvolgimento attoriale, registico e produttivo di George Clooney. Con buone ragioni, però. Perché dal soggetto brillante di Luke Davies e David Michôd, questa ambiziosa coproduzione internazionale (Sky Italia inclusa) ha tratto un frutto assai gustoso.
La prima cosa bella di Catch-22 sta tutta nei colori. Una meraviglia sabbiosa di ocra brullo e olivastro militare, spruzzata di frequente dal rosso vivo dei pomodori e dal blu intenso di un mare sempre in calma piatta. La seconda cosa bella è che nella sua guerra dai toni pastello, calda e luminosa, non c’è figura maschile che abbia preservato almeno una particella di sanità mentale.
L’unica eccezione sembra essere John Yossarian, un giovane americano non molto convinto della necessità del conflitto, tanto da aver scelto il lunghissimo addestramento da bombardiere nella sola speranza che nel frattempo finisse. Invece, nel giro di pochi mesi, Yossarian si ritrova in una base militare sull’isola toscana di Pianosa, a chiedersi perché ogni giorno degli sconosciuti a cui non ha fatto nulla tentino di ucciderlo e a contare il numero di missioni che lo separano da un congedo che non arriva mai, anche perché il sadico colonnello Cathcart continua ad aumentarle.
Anziché crogiolarsi nel proprio disappunto verso i suoi stessi superiori, Yossarian decide di tentare tutte le scorciatoie per tornare a casa il prima possibile. Qui si scontra però con l’assurdità del Comma 22: solo chi è pazzo può essere esentato dalle missioni di volo, ma chi lo richiede evidentemente non è pazzo.
Un paradosso burocratico da cui emerge l’insensatezza circolare e infinita della macchina della guerra, che nel mentre spreme i suoi soldati al punto da ridurli a un concentrato di paranoie e manie.
Principio che la serie rende egregiamente attraverso i giochi fitti e surreali di parole, la ripetitività delle situazioni e le caricature frenetiche dei tanti camei. Clooney non si smentisce nei panni del tenente Scheisskopf, iracondo coreografo di parate poco sincrone, Kyle Chandler trasmette tutta l’idiozia del colonnello Cathcart, come Daniel David Stewart diverte con le astuzie che trasformano l’addetto alla mensa Minderbinder in boss del mercato nero. Il miglior preziosismo di Catch-22, comunque, è la bravura con cui Christopher Abbott (già passato da Girls e The Sinner) percorre la parabola di Yossarian, che a ogni missione, a ogni cavillo formale, a ogni compagno perduto, muove un passo dalla finta alla reale follia.
Pur non privandosi delle brutture del conflitto, i sei episodi volano così sulle ali di un tragicomico che non mortifica l’attualità e l’intelligenza del messaggio di Joseph Heller. E si congeda anzi lasciando la voglia di correre a recuperarne il libro.