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‘Fleabag’, meraviglia di gioie e dolori

Il grado di perfezione di una serie tv è in genere direttamente proporzionale al vuoto che si prova quando finisce. Se poi per colmare quel vuoto si vorrebbe ripartire subito dal primo episodio, il grado aumenta ulteriormente. In questo senso, Fleabag è perfezione allo stato più puro. Una, due, quattro volte si sentiva la necessità di rivedere la prima brevissima stagione. Per la seconda sono minimo il doppio.

Attenzione! Se non volete SPOILER passate prima da Amazon Prime Video!

E dire che in realtà Fleabag non aveva affatto in programma di riportare la sua faccia da schiaffi sui teleschermi. Per Phoebe Waller-Bridge (la stessa mente brillante di “Killing Eve”) il suo cerchio si era già chiuso dopo i primi sei episodi. E cioè quando, rifiutata da tutti, aveva finalmente calato la maschera di irriverenza a protezione delle proprie ferite, smettendo di molestare anche il pubblico forzato a farle da confidente e aggirandosi spersa per Londra con il volto nero di trucco colante. Invece eccola, 371 giorni, 19 ore e 26 minuti più tardi (tre anni, nella realtà), ricomparire nel bagno assai spazioso di un ristorante, intenta a pulirsi bocca e naso insanguinati. Il perché non lo si sa, e non viene nemmeno da chiederselo. L’attesa è tutta per l’istante in cui tornerà a guardare in camera, a rassicurare che sì, siamo ancora suoi confidenti.

Questa trentenne dall’eleganza retrò e dall’esistenza sconclusionata – al primo impatto anche più irritante della Hannah Horvath di Girlsabbiamo infatti imparato ad amarla. Di lei non sappiamo nemmeno il nome: tocca chiamarla “sacco di pulci”. Eppure abbiamo capito come interpretarne perfettamente gli sguardi e che il suo carico di egocentrismo e provocazioni – specie a sfondo sessuale – non è semplice istrionismo. Bensì, l’anestetico con cui sedare il dolore della madre morta da poco, del padre soggiogato da una subdola matrigna, della sorella che crede abbia sedotto suo marito (quando è tutto il contrario) e della migliore amica Boo suicidatasi forse per colpa sua.
Fleabag gif-Phoebe Waller-Bridge

Ora, però, Fleabag sta bene. Non aspetta neanche un minuto per aggiornarci orgogliosa di aver abbracciato la vita sana del fitness all’aperto e dei toast all’avocado, resistito alle tentazioni del sesso occasionale, e riempito con buone idee il suo bistrò a tema porcellino d’india. E in ancora meno secondi anticipa maliziosa che quella che ci attende “è una storia d’amore”.

Questa volta Phoebe Waller-Bridge ha dato infatti coerenza alla nuova manciata di episodi (prima più sconnessi), costruendo un crescendo di tensione interno alle mezz’ore e tra le mezz’ore. Il collante sentimentale è molteplice, tuttavia. Il culmine da attendere è il matrimonio tra il padre e la matrigna cattiva (difficile però detestare quello spasso di Olivia Colman) come il momento in cui la sorella Claire (l’eccellente Sian Clifford) decida finalmente scaricare il marito per inseguire la felicità nell’algida Finlandia con – ironia dell’onomastica – il collega Klare.

Ma se ci si prepara all’attimo in cui Fleabag arriverà a distruggere tutto per guadagnarsi attenzione, se ne rimane delusi.

Il vero fulcro del caos adesso è Claire: Fleabag è troppo occupata a inseguire la sua, di storia d’amore. Che è anche una sfida tanto ai suoi limiti quanto alle difese che l’hanno ridotta a “una ragazza senza amici e un cuore vuoto”. Stavolta non si tratta soltanto dell’ennesimo uomo senza nome. Stavolta Fleabag punta più in alto, dritta all’incarnazione di Dio. Per onnipotenza istrionica, certo. Ma anche e soprattutto perché il ribattezzato “Prete Sexy” che intende far cedere è esattamente come lei. “Sono un gran lettore senza amici” le si presenta tra qualche imprecazione e diverse lattine di gin tonic, lui che ha una famiglia disfunzionale e per proteggersi dal farsi amare ha scelto la castità obbligata. Entrambi sono soli, entrambi hanno preferito alle persone vere un amico immaginario, che sia il pubblico o Dio.

Fleabag gif - Phoebe Waller-Bridge-Andrew Scott
Fleabag s’imbatte insomma nella prima persona che ne mette a tacere le provocazioni con peggiori provocazioni; di cui non riesce ad anticipare le mosse; che ne comprende le sofferenze e si accorge del suo assentarsi per parlare con noi. Fleabag è tanto indifesa e confusa da far addirittura pasticci con la quarta parete: “Il suo collo” ammicca mordendosi il labbro, prima di accorgersi di non rivolgersi a noi, ma direttamente a lui.

E qui il capolavoro è tanto dell’attrice-sceneggiatrice Waller-Bridge quanto del magnifico Andrew Scott – sì, il malvagio Moriarty che ha dato un senso a Sherlock e che una volta (scusate, SPOILER!) uscito di scena gliene ha tolto un pezzetto consistente. Il suo prete ambiguo ed eccentrico, appassionato di moda talare e recensore gastronomico per il giornale della parrocchia (“Passerei 40 giorni e 40 notti in quel dessert”), è il valore aggiunto che spinge questa serie piccola oltre limite della perfezione.

In un pugno di poche ore, Waller-Bridge ha concentrato un mondo di caricature anche essenziali ma memorabili (come la psicologa di Fiona Shaw e la lesbica in carriera di Kristin Scott Thomas), situazioni di disagio tragicomico (la cena passivo-aggressiva che occupa l’intero primo episodio della seconda stagione è una delle meraviglie degli ultimi anni di tv), monologhi da manifesto del femminismo quotidiano sui dolori di ovaie e sull’importanza vitale di un buon taglio di capelli. Ma soprattutto, ha donato all’archetipo della millennial egoista, sfacciata e precaria una complessità psicologica che giustificasse il suo essere tale.

“Credo che tu sappia amare meglio di tutti noi. Ecco perché trovi tutto così doloroso”, le confessa il padre in chiusura di ultima puntata. Ed è vero. Tanto che quando Fleabag – non più incompresa – ci proibisce di seguirla e si allontana scuotendo la mano in segno di addio, ci si rende conto che è davvero finita, ma non si smette affatto di soffrire con lei.

Sfondo copertina: Freepik

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