Di ‘Suburra’ rimane l’amore
Quando Suburra uscì con la sua prima stagione era il 2017 e in molti la scambiarono per una serie tv ad alto tasso di machismo. Il primo episodio sfoggiava pistole, orge, capocciate, il romanesco sporco e duro della bassa capitale e quello pulito e subdolo della parte alta. Il confronto con altre serie machiste fu inevitabile e Suburra lo fallì, soffocata dal peso delle aspettative. Il punto di svolta, l’elemento rivelatore arrivò solo sul finire della stagione, con un mezzo bacio (finito neanche troppo bene) che fece capire che da quel momento non l’avremmo seguita per l’azione, ma per l’amore.
L’amore – o l’amicizia, per la precisione – era quello tra Aureliano Adami (Alessandro Borghi, colui che attrae) e Alberto “Spadino” Anacleti (Giacomo Ferrara, colui che sorprende). Ossia due che nel corpulento schedario dei personaggi hanno per definizione il compito di alzare la componente machista di una serie.
Erede burino di una famosa famiglia criminale di Ostia uno, membro tamarro del clan di zingari rivale l’altro, nel film originale si conoscevano a malapena e pronti via il primo eliminava il secondo. La serie di Suburra invece ha fatto un passo a qualche anno prima e imboccato una direzione diversa. Qui Aureliano e Spadino si incontrano, si annusano, si intendono, e decidono di allearsi contro il volere delle rispettive famiglie (e l’approvazione di Shakespeare). Il loro obiettivo è conquistare il potere della Roma sotterranea e invisibile, per poter poi tenere in pugno quella politica e vaticana.
Aureliano e Spadino ci riescono con la forza, certo. Per tre stagioni (l’ultima uscita a fine ottobre) Suburra ha mostrato tutti i livelli di violenza raggiungibili dal loro tratto di personalità antisociale. Eppure quello che della serie è rimasto – e rimarrà – più impresso sono le loro debolezze.
L’unica cosa su cui le rispettive famiglie concordano, infatti, è la loro inettitudine. Nessuno dei due potrà mai raggiungere quel certo grado di rispettabilità criminale che serve a concludere grandi affari loschi. Troppo impulsivo uno, troppo gay l’altro. Troppo immaturi entrambi.
Cosicché a muoverli è un profondo senso di inadeguatezza. Li muove per rabbia, nella direzione del potere. E li muove per bisogno, in direzione reciproca, perché solo tenendosi in piedi a vicenda possono evadere dalle vite in cui si sentono incastrati.
Suburra questa cosa l’ha capita e maneggiata molto bene, anche con una certa sfacciataggine. Concluso il tentativo di stupire assemblando pezzi di altre serie crime, Suburra ha iniziato ad assottigliare gradualmente il terreno dell’azione bruta, per far emergere il solco sempre più vivo e profondo del rapporto tra Aureliano e Spadino. (Il “Mi hai cambiato la vita” vicendevole detto a distanza di qualche episodio è la battuta che più rimbalza tra i fan della serie.) Tant’è che, nella stagione conclusiva, gli scatti d’ira omicida non sono più una questione di sete di potere e rivalsa, bensì di disperata protezione reciproca dalla morte.
Gettando i manuali di sceneggiatura – che spesso affidano a ciascun personaggio un compito diverso nella dinamica del racconto – Suburra ha fatto la scelta insolita di assegnare ad Aureliano e Spadino quasi tutte le componenti della sua storia: quella cruda, quella sentimentale e pure quella più comica, destinata ad alleggerire.
Quando gli ultimi 6 episodi sono usciti su Netflix, qualcuno si è lamentato che Suburra avesse avuto troppa fretta di chiudere. In effetti, dalla lentezza con cui aveva posto le basi e introdotto i nuovi personaggi, la serie sembrava avere in mente una conclusione ben più complessa di quella che – probabilmente a causa della pandemia – la produzione è riuscita a ottenere.
Ciò che tuttavia non cambia, è la percezione che per una volta di una serie criminale non restino le grandi coreografie di risse e sparatorie. Per una volta restano invece la libertà e la tenerezza delle spaghettate “ajo, oio e peperoncino”, del karaoke in macchina, delle danze sinte, dei fanghi serali, delle culle imperiali trasportate con orgoglio sul tettuccio di una macchina. Tutti momenti posizionati per far risonare ancora di più il dolore del finale: una delle scene più classiche della tragedia, ma tutta al maschile, stavolta.
Di Suburra insomma resterà l’amore, anche al di là del semplice duo di protagonisti. Per quasi tutti i personaggi, la serie ha infatti tratteggiato con cura un lato umano forse poco reale, ma comunque molto percepibile. Di quel lato umano oggi il pubblico ha bisogno come forse mai prima d’ora nell’ultimo ventennio di tv. Al punto che, finito con Aureliano e Spadino, era già intento a chiedere uno spin off su Nadia (Federica Sabatini) e Angelica (Carlotta Antonelli): le loro compagne, le loro esatte controparti femminili.