Maschi veri, riuscita così così
Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su primi quattro degli otto episodi di “Maschi veri”.
Riccardo non vuole una coppia aperta, ma può tradire a più riprese la compagna. Mattia è inibito dalla disinvoltura sessuale dei suoi incontri femminili su Tinder. Massimo preferisce non lavorare, piuttosto che avere una donna per capo. Luigi rimarca come fosse un merito particolare (o forse più una gentile concessione) l’occuparsi di responsabilità genitoriali normalissime, tipo mettere a letto i figli o far parte della chat di classe.
Questi sono i quattro protagonisti di Maschi veri, la nuova comedy di Netflix che prende in giro un certo tipo di mascolinità – quello che va ancora per la maggiore – e il suo maldestro tentativo di adattarsi a un mondo dove l’emancipazione femminile dilaga rampante. E se vi sembra di averli già visti da qualche parte, è perché non è altro che la versione italiana della spagnola Machos Alfa, di cui il servizio streaming sta producendo cloni in lingue diverse.
Negli ultimi tempi ci era andata bene, con i remake in serie. Da Odio il Natale a quella delizia di Call My Agent, anche noi stavamo dimostrando di saper adattare storie già pronte, ritoccandole qua e là con pezzi di vissuto realmente italiani. Ma qui sembra di fare un passo indietro, e tutto quello che resta è qualche fievole momento di spasso, un ottimo cast – Francesco Montanari, Maurizio Lastrico, Matteo Martari e Pietro Sermonti sono il quartetto principale – e il rammarico di vederlo ancora una volta destreggiarsi con un materiale non all’altezza.

Esattamente come nell’originale, i maschi veri si considerano il sesso forte, condividono birre e una chat brulicante di vocali da ragazzini, mostrano i muscoli – quelli che pensano di avere – sui campi da padel, e si scambiano pareri da veri intenditori di donne, benché di fatto ne capiscano poco e niente. E altrettanto esattamente accade che, per ogni frase sessista esca dalla loro bocca, arriva pronta una badilata a colpirli sul naso, a smascherare il paradosso delle loro convinzioni, a umiliare la virilità di cui sono fieri portatori. Ma i maschi veri non si lamentano, non piangono, e guai a far mostra di un atomo d’emozione. Perciò si limitano a mugugnare imbronciati che «non si può più dire niente», finché non finiscono a prendere lezioni di decostruzione della mascolinità.
Rispetto all’originale, però, Maschi veri semplifica ancor più i suoi uomini, quasi fino a renderli bidimensionali, piatti, irreali. E allora viene il dubbio che, nel ridicolizzare tanto marcatamente gli stereotipi, la serie non diventi essa stessa un fastidioso cliché.

Forse il problema è che arriva un po’ in ritardo, quando la discussione sulle tematiche di genere si è fatta tanto esasperante e aggressiva da nauseare. Forse è che siamo già sommersi da vignette social che combattono i luoghi comuni a colpi di altri, banalissimi luoghi comuni, e il senso della battaglia si è ormai slabbrato. Basta vedere la pesantezza della retorica con cui la serie è stata accolta e scambiata per una lezioncina sulla “mascolinità tossica”.
Se c’è infatti una cosa apprezzabile che Maschi veri mantiene in entrambe le versioni, è che allo scontro tra sessi s’approccia con un certo equilibrio. Agli uomini in crisi contrappone un gruppo di donne in egual misura nevrotiche, che tutto spiegano, dominano, manipolano. Ma soprattutto, rivendicano il diritto ad arrabbiarsi, cammuffandolo da diritto a emanciparsi. Tant’è che la faccenda si fa quasi più interessante se si inverte la prospettiva. Se la si guarda, cioè, come uno studio della curiosa convinzione per cui la parità di genere si raggiunga con lo specchio riflesso, rendendo agli uomini tutto ciò che abbiamo subito.
“Maschi veri” è disponibile su Netflix. La prima stagione è composta da 8 episodi lunghi 27-37 minuti, tutti disponibili da subito.
Guarda il trailerImmagine di copertina: Lucia Iuorio/Netflix




