Marie Kondo e il magico potere del piccolo schermo
Accumulati pretesti sufficienti per meritare la fustigazione a colpi di librate konmariane, ho ceduto al fervore delle chiacchiere e all’insistenza di Netflix, e mi sono decisa a dare un’occhiata allo sbarco televisivo di Marie Kondo. La trentaquattrenne giapponese che ha dato nuovo senso alle pulizie di primavera, vendendole al mondo come catarsi attraverso cui rivoluzionare la propria vita, ha infatti ora uno show tutto suo. Glielo hanno affidato gli americani, che – dopo aver propinato anni di stomacanti trasmissioni sugli accumulatori seriali – avevano evidentemente necessità di riprendere le redini dell’imbizzarrita epoca trumpiana e raccontarsi di avere ancora il controllo di qualcosa: la disposizione delle proprie abitazioni e l’influenza nell’alimentare stereotipi. In questo caso, con attivo prodigarsi della diretta interessata.
La reverenziale, lieta e impeccabile Marie Kondo è del resto completa incarnazione dei miti nipponici esaltati dagli occidentali. I quali – a detta di chi nel Sol Levante non ha trascorso due settimane instagrammabili ma almeno un decennio di vita – sarebbero anche piuttosto falsi. Dietro al rigore ostentato si nasconderebbero anzi ammassi caotici in stanze troppo piccole per riuscire a contenerli e arredi non poi tanto fanatici del minimalismo. Contro ogni credenza, dunque, le manie che hanno fatto di Marie Kondo la guru del riordino sarebbero stramberie agli occhi dei compatrioti.
Queste, però, sono il vero elemento di attrazione di un docu-reality dai makeover tutt’altro che straordinari. Facciamo ordine con Marie Kondo è la basilare trasposizione televisiva del bestseller Il magico potere del riordino. Si tratta di semplici case da riassettare. Ma con l’aiuto (verbale) di un personaggio che sazia le esagerazioni sensazionaliste della tv.
“Vuoi fare un gioco con me?” pare dire Marie l’enigmista dal suo divano intonso. E un minuto più tardi la si vede piombare alla porta della famiglia di turno emettendo ultrasuoni di eccitazione, munita di scatole e scatoline, oltre che di interprete. Perché nonostante il successo che questa parte di mondo le ha regalato, Marie l’inglese ancora non l’ha introiettato (o meglio, lo parla in un misto anglo-nipponico d’ispirazione celentiana) e a chi la guarda con l’aria di non aver capito nulla si rivolge solo nella propria lingua, che per l’economia del programma suona pure più ritmica e sciroccata.
Sorride, Marie Kondo, ma i denti stretti sono palese esercizio per non cedere al crollo nervoso. Le tocca fingersi entusiasta (“Adoro il disordine!” grida sfilando con orrore cassetti-bomba) ed empatica verso gli scellerati ora preoccupati dal suo giudizio (“Anche la mia casa a volte è in disordine” rassicura con la simpatia della secchiona che non ha studiato le note a piè di pagina). Poi, finito il tour planimetrico di stanze normalmente vissute, può passare a quel che le riesce meglio: dare sfogo a un’ossessività glassata di spiritualità.
Eccola allora alla ricerca dell’angolo giusto per inginocchiarsi e ringraziare la casa, nonché picchiettare sugli oggetti per risvegliarli. Il metodo KonMari, infatti, è gentile. Prima di accompagnare (con la dovuta riconoscenza) ninnoli, abiti e magari anche la suocera nell’immondizia, bisogna afferrarli, sentirne le vibrazioni, entrarvi in connessione. Ciò che “sprigiona gioia” (“Does this spark joy?” è il mantra esatto) ha invece il via libera per farsi impilare negli armadi, rigorosamente in verticale.
Io ci ho provato, giuro, a metterlo in pratica appena esplosa la Kondo-mania. Ma con l’infallibile dote di autopersuasione che mi appartiene, ne ho applicata con successo soltanto una piccola dose. Vale a dire, ridurre tutti i vestiti a minuscoli involtini primavera per quintuplicare la capienza del mio guardaroba e riuscire a infilare in valigia anche quel terzo maglione invernale che, ovvio, a Ibiza in agosto non servirà mai, ma lasciarlo solo a casa dispiace.
Roba da infarto, insomma, per Marie Kondo. Per quanto esalti l’emozione, infatti, il suo è in realtà il più cinico di tutti i makeover show. Queer Eye potrebbe dirsi romantico, Facciamo ordine è il trionfo della razionalità sul sentimento. Per trovare il coraggio di separarsene, bisogna ridimensionare ogni cosa al proprio valore oggettivo. Gli abiti sono così semplice stoffa e i libri soltanto carta.
Già, c’è da disfarsi anche dei libri. E mentre là fuori le liberie chiudono, nel veder destinare al macero cumuli di volumi, la platea meno dotta degli ultimi secoli ha gridato all’eresia. Da giorni le elucubrazioni intellettuali si rincorrono, i moniti cinguettanti si sprecano. “Come osa, proprio lei che in un libro ha trovato la sua fortuna?”.
Eppure, quella di Marie Kondo – sollecitata più volte a rettificare – non è dittatura universale, bensì semplice filosofia personale. Marie Kondo, che alle figlie non legge favole della buonanotte preferendo impartir loro l’esercizio del riordino, ha sempre emanato un’aura di follia patologica e i suoi dogmi non sono certo novità.
Quel che stupisce, piuttosto, è che per giungere finalmente a stranirsene, i promulgatori della sacralità del libro abbiano dovuto accendere la tv.