‘Kidding’, Jim Carrey e la malinconia del far ridere
Tra le folte schiere di video di quella gran teca del piccolo schermo che sa essere YouTube, circolano alcune clip di Jim Carrey ospite del Jimmy Kimmel Live!, con entrata trionfale in monopattino e sobria mise in pigiama. “Però porto i calzini neri,” mostra orgoglioso tra una carrellata e l’altra di enfatici contorcimenti “perché ho pur sempre 56 anni!”. Solo qualcuno in più, insomma, di quelli che a occhio e croce dovrebbe avere Jeff Piccirillo, il suo nuovo personaggio nella serie tv Kidding. Per il quale, al contrario, i calzini sono rigorosamente decorati da trionfi di righe, pois o cascate di cetriolini.
Tutta America lo conosce infatti come Mr. Pickles (Signor Cetriolino, appunto), il volto educato di un longevo show per bambini trasmesso da PBS, prodotto dal padre Seb (Frank Langella) e animato dalla sorella burattinaia Didi (Catherine Keener). Caschetto simmetrico, divisa da scolaro e pantaloni che mai arrivano a sfiorare i mocassini, la sua sagoma dai contorni grotteschi è un’istituzione più che adorata. Perché, da un magico mondo popolato di pupazzi parlanti, la sua voce rassicurante ha una spiegazione per ogni cosa, trasforma tutto in canzoni da accompagnare con Uku-Larry e ha il potere fatato di redimere ladri e sniffatori.
Questa visione edulcorata della vita si fa tuttavia per Jeff artificio sempre più faticoso dopo la perdita del figlio Phil, la separazione dalla moglie Jill (Judy Greer) e l’incrinarsi del rapporto con l’adolescente Will (Cole Allen), fratello gemello di Phil.
Mentre ognuno è intento a sfogare rabbia – specie contro il suo inguaribile ottimismo – a Jeff non resta così che aggrapparsi a Mr. Pickles ed elaborare il proprio dolore con una puntata che affronti senza dolci bugie la paura della morte. “Non parlerò di mio figlio che fa surf sulle nuvole o l’hula-hoop con l’areola” dice. “Voglio che tu guarisca. Ma è Jeff che deve guarire. Mr. Pickles sta molto bene” lo fredda il padre pensando al panico del pubblico.
Scatta perciò un istinto di diffusa protezione per evitare che la persona e il personaggio, l’uomo reale e quello “dentro una scatola”, il genitore in lutto e il “marchio affidabile” da milioni di dollari s’incontrino e distruggano vicendevolmente.
Lo stesso meccanismo al quale cedono (purtroppo) a sprazzi il creatore Dave Holstein e il regista Michel Gondry – che un Carrey tragicomico lo diresse già in Se mi lasci ti cancello – frenandosi nell’indugiare sulla sofferenza del protagonista e sul suo graduale connettersi con le proprie emozioni. Quasi ad attutire, cioè, l’impatto con un Jim Carrey molto più autentico nel suo essere malinconico.
Un vero peccato (certo modellabile nella stagione a venire), poiché è proprio la sua sola presenza – prima ancora che le qualità interpretative che gli appartengono – a intensificare il valore amaro di questo dramedy. Per tornare alla ribalta dopo qualche anno di piccoli ruoli, isolati insuccessi e un privato inquieto, Carrey ha infatti dovuto imparare a pensarsi entità distinta dalla leggenda hollywoodiana della commedia.
Ormai da diverso tempo – dal divano di Jimmy Kimmel alle pagine del New York Times – va ribandendo che “Jim Carrey è un gran personaggio e ho avuto fortuna a ottenerne la parte”. Presa di coscienza validissima anche per l’esistenza di quel Jeff che si crede davvero Mr. Pickles, al quale presta la solita esplosività e una rivelata mestizia degli occhi.
Il suo carisma nostalgico finisce quindi per risucchiare tutta l’attenzione di Kidding, nonostante l’intento sia quello familiare – oltre che metatelevisivo – di esplorare la reazione con cui ciascun personaggio si confronta con il dolore.
Questo ragazzone eterno (un po’ come Giovanni Muciaccia) dalla spontanea ingenuità fiabesca (un po’ come Tonio Cartonio) è d’altronde una creatura più unica che rara. Mr. Pickles, che crede “amici” i telespettatori, nella realtà non è il solito antieroe spregevole e nemmeno un depresso prigioniero della sua immagine. Non è un “Babbo bastardo”, bensì un vero Babbo Natale. Mr. Pickles non porta una maschera, è buono per davvero. Tanto da indisporre, tanto da far sentire malvagio chiunque lo circondi (“Non usare una brutta parola, quando puoi sostituirla con una buona” è il suo motto).
Nel mondo smaliziato e avvelenato dal rancore, Mr. Pickles non sa nemmeno di potersi ogni tanto imbestialire. Così che, al vederne la goffa determinazione nel cercare la voce della sua rabbia repressa, si sorride di triste tenerezza.