“Étoile” è una serie deludente, con qualche bel balletto
Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su tutti gli otto episodi di “Étoile”.
A metà esatta dell’esatto decennio trascorso tra la fine di Una mamma per amica e l’inizio di The Marvelous Mrs. Maisel, Amy Sherman-Palladino creò una serie, Bunheads, dove una showgirl di Las Vegas finiva a fare l’insegnante di balletto. (In Italia arrivò qualche tempo dopo con il titolo A passi di danza su Mya – e qui ci si sblocca un ricordo sulla triste transitorietà dei baldanzosi canali tematici di Mediaset). Nonostante le recensioni entusiastiche, Bunheads durò il tempo di una stagione e fu subito cancellata dai teleschermi. Non, però, dalla lista dei rimpianti di Sherman-Palladino e del marito Daniel, che tredici anni più tardi ne hanno rigenerato l’anima in Étoile, un’altra serie sulla danza classica (appena uscita su Prime Video) che volteggia su ambizioni più alte, ma inciampa goffamente nel darci un motivo per cui seguirla.
La premessa è semplice, benché la logica traballante. Due delle compagnie di balletto più rinomate al mondo – il New York Metropolitan Ballet e il Ballet National di Parigi – sono messe in difficoltà dall’infausto cocktail di sciagure per cui quest’epoca sarà ricordata: pandemia, crisi economica, avversione per le élite, attivismi vacui, e un’epidemica perdita di attrazione per tutto ciò che impegni l’attenzione per più di venticinque secondi (inclusa questa recensione) e non sia consumabile sullo schermo di un telefono. Per provare a risollevarsi, ecco allora un’idea: scambiarsi per un periodo i propri artisti di punta, nella speranza di indurre il pubblico a riportare i propri sederi nei rispettivi teatri.
Quando la serie si apre, la direttrice della compagnia parigina Geneviève Lavigne (la solita Charlotte Gainsbourg dalla finezza inscalfibile, malgrado il perenne stato di affanno del personaggio) si trova così oltreoceano per convincere il suo corrispettivo newyorkese che lo scambio sia un’ottima trovata. Dopo qualche protesta Jack McMillan (Luke Kirby, che in Mrs. Maisel era Lenny Bruce), per il quale la storia del Metropolitan Ballet si lega a quella di famiglia, accetta con riluttanza. A persuaderlo, la disperazione condivisa, o forse i loro fugaci trascorsi di letto.

A Étoile, tuttavia, gli intrecci rosa interessano poco. L’intento principale di Sherman-Palladino – sceneggiatrice con un passato da ballerina classica, ereditato dalla madre – è far risaltare l’armonia del balletto, mostrare il duro sforzo dietro l’apparente leggerezza e la fatica nel tenere vive le arti tradizionali, usando come tramite le vite di ballerini, coreografi e impresari.
II pezzo grosso dello scambio è Cheyenne Toussant (Lou de Laâge), stella della danza francese che porta tanti spettatori e altrettanti problemi. Sfilate le scarpette, infatti, la grazia si dissolve, lasciando il posto a un’attivista rozza che si batte per ogni causa socio-ambientalista la sfiori. Prelevata da una protesta contro un peschereccio e riportata alla danza ancora puzzolente, a New York Cheyenne si sente un ostaggio. Perciò, impone cambiamenti sovversivi con fare assassino e la sicurezza di chi è protetta dalla fama che la precede.
Per abilità sociali non brilla neppure Tobias Bell (Gideon Glick, una delle poche delizie della serie), coreografo giovane ma geniale, che limita i contatti umani aggirandosi con enormi cuffie dalle quali pompa musica metal. Lui è l’altro pezzo grosso dello scambio, e non mostra certo più entusiamo. Anche perché in Europa il suo dentifricio preferito non si trova e i cuscini sono scomodi. Ma soprattutto, la sua danza d’avanguardia sembrano apprezzarla solo Geneviève e un ballerino indisciplinato di nome Gabin (Ivan du Pontavice).

A integrarsi fatica pure Mishi Duplessis (Taïs Vinolo), che in Francia ci è nata, ma preferirebbe di gran lunga stare a New York, lontana dalla madre ministra e dall’etichetta di “nepo baby”. Per lei, però, la vera sfida è scoprire il mondo e sé stessa, dopo un’infanzia da reclusa a fare esercizi alla sbarra. Tutto l’opposto della piccola SuSu (LaMay Zhang), figlia della donna delle pulizie asiatica del Metropolitan Ballet, che si allena di nascosto la notte. La sua storia, quasi slegata dalla premessa principale, ci viene raccontata a più riprese con inspiegabile dedizione.
Come tipico delle serie dei Palladino, anche il quadro di Étoile si completa poi con un brulicare di caricature. Figure eccentriche e animate dalle proprie nevrosi, che parlano a raffica e si scambiano battute taglienti. In questo caso, passando dall’inglese al francese con una coerenza del tutto umorale. Ognuno è provvisto di tratti comici e amabili che, nei limiti delle singole scene, rendono gradevole la visione. Eppure, sul lungo periodo è difficile trovare almeno un personaggio su cui investire.
A differenza dei protagonisti di Una mamma per amica e Mrs. Maisel, quelli di Étoile hanno ben meno carisma. E non aiuta che la serie scelga di non calcare la mano su nessun genere in particolare. Non è abbastanza drammatica e nemmeno abbastanza comica, né telenovelica, né punteggiata di obiettivi che scandiscano il racconto, generando tensione. L’unico antagonista è Crispin Shamblee (Simon Callow), un facoltoso petroliere britannico che finanzia l’arte, a patto che serva i suoi interessi. Ma le sue minacce paiono inconsistenti, specie se rapportate alle stramba pretesa di partecipare alle lezioni di balletto, munito di tenuta aderente e borraccia rosa.

La durata percepita degli episodi, già lunghissimi, sembra quindi infinita. In qualsiasi punto ci si trovi, manca sempre troppo alla fine. E la colpa non è delle ampie manciate di minuti che – un po’ in stile Bridgerton – la serie concede alle sequenze di volteggi, passi a due e stralci di spettacoli. Anzi, quelle, insieme alle musiche, sono la componente più magnetica. (Per la prima stagione, la coreografa Marguerite Derricks ha ideato circa 15 pezzi e ricreato altri balletti classici, coinvolgendo decine di ballerini professionisti).
Non è ben chiaro cosa, del portare il balletto classico in tv, non riesca a funzionare. Ma finora quasi tutte le serie che hanno tentato (chi puntando sui lati sordidi e competitivi, chi su quelli più rosei) hanno avuto poca fortuna. Nel caso di Étoile, nemmeno danzare al ritmo vivacissimo della scrittura dei Palladino è bastato.
“Étoile” è su Prime Video. La prima stagione è composta da 8 episodi lunghi 52-75 minuti, tutti disponibili da subito.
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