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Quello che i Golden Globe non dicono

Michaela Coel ha trentatré anni ed è considerata una delle migliori attrici e sceneggiatrici della sua generazione. La sua ultima serie, il dramedy I May Destroy You, è comparsa in cima a quasi tutte le classifiche dei titoli più belli del 2020. Eppure ai Golden Globe di ieri sera, Michaela Coel e I May Destroy You non c’erano. Il loro posto se lo sono preso Lily Collins e Emily in Paris, definita una delle serie peggiori dell’ultimo anno.

Quella di Coel e di I May Destroy You è soltanto la più recente di una lunga serie di esclusioni discutibili nella storia dei Golden Globe. Del suo caso però si è parlato con più intensità e serietà del solito. Non solo infatti ha riaperto un dibattito in corso da tempo sull’utilità di questi premi. Ma ha anche posto una questione sull’effettiva onestà e sui tanti conflitti etici della Hollywood Foreign Press Association, l’organizzazione di giornalisti internazionali che se ne occupa. Soprattutto dopo che il Los Angeles Times ha pubblicato una lunga inchiesta secondo la quale Emily in Paris avrebbe ottenuto le sue due nomination in maniera piuttosto sospetta.

I May Destroy You Michaela Coel  Golden Globe 2021
YouTube/HBO

Chi c’è dietro i Golden Globe?

Se lo sono chiesti in tanti, negli ultimi decenni. E il discorso salta fuori ogni qual volta un film o una serie tv non particolarmente eccellente ottiene qualche nomination a scapito di altri titoli più meritevoli. I Golden Globe sono assegnati dalla HFPA, un’associazione no profit formata da 87 giornalisti di intrattenimento che scrivono per testate estere. Lo scopo dichiarato della HFPA è di aiutare l’industria dell’intrattenimento americana a mantenere un legame con i media degli altri paesi; e nel frattempo supportarla finanziando una serie di iniziative benefiche, dal restauro delle vecchie pellicole alle borse di studio per aspiranti creatori di film e serie tv.

Quando fu creata nel 1943, la HFPA era formata da una ventina di giornalisti. Pochi mesi dopo introdusse l’idea di assegnare in diretta tv dei premi ai migliori film, attori, registi dell’anno. Nel corso dei decenni la cerimonia si è ampliata anche alle serie tv e ha guadagnato sempre più prestigio. Oggi i Golden Globe sono una specie di anticamera degli Oscar e una vetrina necessaria per l’economia dei grandi e piccoli studios.

Nonostante il progressivo ampliarsi dell’importanza dei Golden Globe, però, la HFPA è rimasta un circolo molto stretto, al quale è molto difficile accedere. Stando al regolamento interno, per poter diventare membri, i giornalisti stranieri devono dimostrare ogni anno di rientrare in una serie di requisiti. Tra questi: essere residenti nella California del Sud (cioè dalle parti di Los Angeles); essere raccomandati da due membri che ne fanno già parte; e non svolgere altri lavori pagati nel mondo dell’intrattenimento o in agenzie a esso collegate.

Tuttavia, nella pratica, la scelta dei membri della HFPA si è dimostrata ben più nebulosa. Al suo interno ci sono ormai solo pochi giornalisti che lavorano a tempo pieno per testate internazionali. Alcuni di loro partecipano a progetti cinematografici o televisivi in qualità di attori o produttori; altri hanno legami lavorativi con gli uffici stampa degli studios; e la loro composizione sembra essere rimasta piuttosto indietro rispetto alla recente evoluzione di Hollywood verso l’inclusività. Da due decenni, per dire, nella HFPA non compaiono membri neri.

Questa opacità si è riflettuta spesso nelle scelte fatte dalla HFPA nell’assegnare premi a film e serie tv. Ed è la ragione per cui a Hollywood ci si è chiesti spesso se fosse giusto che un’associazione così piccola potesse avere accumulato un potere tanto grande da determinare il successo di certe produzioni e l’insuccesso di altre. Soprattutto se si considera che, negli anni, la HFPA è stata al centro di non poche ed evidenti situazioni di conflitti di interesse.

Quanto è onesta la HFPA?

È una questione che si è fatta sempre più insistente con il crescere dell’influenza dell’organizzazione. E che, come naturale conseguenza, ha intesificato l’attenzione sui comportamenti dei suoi membri, spesso coinvolti in situazioni compromettenti, scandali, cause legali e critiche da parte dei loro stessi colleghi.

In particolare, negli anni si è venuto a creare una specie di profilo piuttosto definito del membro tipo della HFPA. Cioè un giornalista ormai poco dedito alla scrittura, con un’ossessione per le celebrità e le feste esclusive, e ben incline a vendere i propri voti in cambio di omaggi e altri benefici.

Nel 1999, ad esempio, i membri della HFPA furono costretti a restituire 82 orologi del valore di 400 dollari ciascuno, che gli erano stati donati da USA Films. Il suo obiettivo era far ottenere a Sharon Stone almeno una nomination per il film La dea del successo. Nel 2011 Michael Russo, uno storico addetto stampa dell’organizzazione, avviò una causa nella quale denunciava altri casi simili. Non solo. Russo disse che molti membri erano soliti vendere le proprie credenziali ad altri media per l’accesso al red carpet della cerimonia dei Golden Globe; altri invece si offrivano per fare pressione sui propri colleghi affinché votassero per determinati film o serie tv, in cambio di somme comprese tra i 5 e i 10 mila dollari.

Si tratta, insomma, di violazioni abbastanza evidenti delle regole a cui i membri della HFPA devono attenersi per poter votare nominati e vincitori dei Golden Globe. Come il Communications Act del 1934, la legge federale sui cui si basano le politiche che regolano il settore delle telecomunicazioni statunitensi. Tra le altre cose, la legge proibisce una pratica chiamata payola: ossia accettare di nascosto pagamenti in cambio di promozioni o altri servizi effettuati durante una messa in onda. Inoltre i membri della HFPA non potrebbero nemmeno accettare doni di valore superiore ai 125 dollari per ogni progetto. Eppure, oltre a beneficiare regolarmente di regali ben più onerosi, i membri dell’associazione hanno iniziato negli ultimi tempi a ricevere cifre di denaro piuttosto consistenti detratte dai fondi della HFPA stessa.

Kjersti Flaa Golden Globe HFPA
YouTube/Kjersti Flaa
Le accuse recenti

L’estate scorsa una giornalista norvegese, Kjersti Flaa, avviò una causa contro la HFPA, dopo che l’associazione aveva respinto la sua richiesta di diventarne membro, nonostante avesse tutti i requisiti per farlo. Nella causa Flaa – peraltro compagna di un membro – accusava la HFPA di istituzionalizzare una «cultura della corruzione». Flaa paragonava il funzionamento dell’associazione a quello di un cartello, che esclude potenziali membri qualificati e monopolizza l’accesso ai principali eventi stampa, e nel frattempo sussidia i suoi membri in maniera cospicua. Inoltre Flaa faceva riferimento ai conflitti etici interni alla HFPA, legati soprattutto a compensi di «migliaia di dollari» versati ai suoi membri dagli studios, dai network televisivi e dalle celebrità, e nascosti dietro un «codice del silenzio».

Come accaduto per tutte le cause precedenti, le accuse di Flaa sono state respinte da un giudice. La mancata ammissione alla HFPA non avrebbe infatti causato alla giornalista un danno economico. Tuttavia la vicenda ha suscitato alcune spaccature interne all’associazione. Una parte di essa aveva visto nella causa un’occasione giusta per avviare un cambiamento e riaggiustare la credibilità della HFPA. Inoltre il caso ha attirato l’attenzione dei giornali americani. In particolare, il Los Angeles Times ha svolto un’inchiesta coinvolgendo oltre 50 persone tra addetti stampa degli studios, produttori e alcuni membri attivi o passati dell’associazione.

Nel condurre l’inchiesta, il quotidiano ha messo mano ad alcuni documenti finanziari della HFPA, scoprendo una rete di pagamenti piuttosto sostanziosi che viene regolarmente versata ai suoi membri.

Secondo i documenti analizzati dal Los Angeles Times, nell’anno fiscale terminato a giugno 2020 la HFPA avrebbe versato quasi 2 milioni di dollari totali ai suoi membri, per aver svolto compiti spesso non previsti dal loro ruolo. Per intenderci, a gennaio una ventina di membri della commissione incaricata di selezionare i film stranieri per gli ultimi Golden Globe, ha ricevuto 3,5 mila dollari a testa. I membri che moderano conferenze ricevono 1,2 mila dollari al mese. E per scrivere circa otto articoli per il sito dell’associazione e svolgere altre mansioni online, solo nel 2020 i membri della HFPA sono stati pagati in totale 585 mila dollari (6,7 mila dollari a testa). Anche le iniziative benefiche sono poi diventate fonte di compenso. Per organizzare la consueta cena annuale di presentazione dei progetti benefici della HFPA, tre membri hanno ricevuto 8 mila dollari a testa. Piccolo particolare: l’evento si è tenuto virtualmente.

Alcuni esperti finanziari consultati dal Los Angeles Times hanno definito queste spese piuttosto inusuali, per un’associazione no profit esente dal pagamento di contributi. La HFPA infatti è una trade organization, cioè un’associazione che si occupa di tutelare gli interessi di una specifica categoria di lavoratori. Il suo scopo è quindi fare l’interesse di una determinata professione o di un settore, non dei suoi singoli membri.

«Perciò se l’associazione paga così tanto i suoi membri per questi servizi, deve ricevere servizi di un valore commisurato, che vadano tutti a vantaggio degli interessi del settore,» ha spiegato un consulente.

La HFPA ha giustificato le spese dicendo di aver semplicemente applicato le stesse tariffe previste da altre associazioni no profit per mansioni simili. Il Los Angeles Times ha osservato però come, nei suoi otto decenni di storia, l’associazione non abbia sempre versato compensi tanto ingenti ai suoi membri. C’è un momento preciso in cui la HFPA ha iniziato a farlo, e si colloca una decina di anni fa.

Lorenzo Soria
YouTube/Lorenzo Soria

Cosa c’entra la crisi del giornalismo

Al di là dei singoli scandali o episodi di corruzione, la HFPA ha cominciato a gestire i suoi fondi in maniera piuttosto discutibile con l’acuirsi della crisi del giornalismo. Nello specifico, quando nel 2011 Aida Takla-O’Reilly fu eletta presidente dell’associazione dopo aver promesso di ampliare i benefici ai suoi membri. I quali, all’epoca, avevano iniziato a lamentarsi che poche delle loro mansioni fossero adeguatamente remunerate. Negli anni, i presidenti successivi hanno mantenuto questa pratica quasi in maniera obbligata. Un membro intervistato dal Los Angeles Times ha detto che Lorenzo Soria – morto lo scorso agosto e per tre volte presidente dalla HFPA – diceva di non avere scelta: «Mi chiamano ogni giorno per avere più soldi».

Con il diffondersi del giornalismo online e l’avvento dei social, il giornalismo di intrattenimento si è infatti svalutato parecchio nell’ultimo decennio. Raggiungere le celebrità più importanti e intervistarle non è più un’impresa così tanto inaccessibile. E ciò ha portato molti giornalisti del settore a vedere ridimensionati i propri guadagni. Per compensare, molti membri della HFPA hanno ripiegato sulla richiesta di pagamenti per le proprie mansioni interne.

«L’associazione è diventata meno un faro di Hollywood nel mondo e più un ammortizzatore privato per il pensionamento dei membri più anziani e un flusso affidabile di guadagno per quasi tutti gli altri,» ha detto un intervistato. E le richieste si sono fatte sempre più ingenti con il recente aumentare delle entrate dell’associazione. Più della metà arrivano dal contratto con NBC per i diritti della cerimonia di consegna dei Golden Globe, che HFPA ha rimpolpato parecchio. Dal 2016 a oggi la cifra dell’accordo è diventata oltre sette volte più alta (da 3,64 milioni a 27,4 milioni di dollari).

Secondo HFPA l’aumento si è reso necessario in rapporto all’importanza dell’evento, che è il terzo più visto nell’anno televisivo statunitense. Alcuni membri però lo hanno visto come il risultato di un circolo vizioso. «È un’idea magnifica quella di prendere soldi da NBC e usarli per buone cause, come l’istruzione o il restauro di film,» ha detto un membro. «Ma adesso c’è uno spirito di spremere l’organizzazione e prendere il denaro. È vergognoso.»

A ciò si aggiunge poi una questione di status. A Hollywood molti giornalisti della HFPA sono visti come figure smaniose di fare sfoggio dei propri legami con le celebrità e con il loro mondo. Con la perdita progressiva del valore del proprio lavoro, in tanti hanno quindi cercato di mantenerne almeno i benefici più superficiali, offrendo in cambio nomination e premi.

Emily in Paris
Netflix

Il caso di “Emily in Paris”

I conflitti di interesse e le abitudini non molto cristalline della HFPA, lo abbiamo visto, fanno discutere da decenni. Come del resto capita quasi di norma che la ripartizione di nomination e vittorie dei Golden Globe sia oggetto di critiche e divisioni. Quest’anno è capitato però qualcosa di molto meno usuale. Emily in Paris, una serie comica di Netflix non particolarmente apprezzata dalla critica ha ricevuto due nomination (miglior serie comedy e miglior attrice a Lily Collins). Per quelle stesse nomination, ci si aspettava la vittoria dell’acclamato dramedy I May Destroy You, creato per HBO da Michaela Coel. Il problema è che I May Destroy You non solo non ha vinto, ma non ha ricevuto alcuna nomination.

Benché la HFPA abbia sempre avuto preferenze molto evidenti per le commedie leggere ambientate in Europa – ha scritto il Los Angeles Times – la cosa ha spiazzato parecchio. Una delle stesse autrici di Emily in Paris, Deborah Copaken, ha scritto un editoriale sulla questione. Copaken si è detta stupita che una serie leggera su «un’americana che vende bianchezza di lusso» fosse stata nominata, mentre l’acclamata I May Destroy You, che parla dei postumi di uno stupro e delle questioni intricate di razza e classe, fosse stata esclusa.

Non molto tempo dopo, si è scoperta la probabile ragione. Nel 2019, Paramount Network – la società produttrice di Emily in Parisaveva invitato diversi giornalisti a visitare il set della serie. Tra questi c’erano anche 30 membri della HFPA. Il viaggio prevedeva un’accoglienza piuttosto calorosa: un soggiorno di due notti in un hotel di lusso e in camere da 1,4 mila dollari a notte; e una conferenza stampa con pranzo al Musée des Arts Forains, un museo privato che comprende una collezione di giostre dove la serie è stata girata e a cui gli stessi giornalisti avrebbero avuto accesso.

L’episodo di Emily in Paris ricorda quanto avvenuto nel 1982 con la vittoria dell’attrice Pia Zadora, protagonista di uno dei film peggiori di quell’anno, Butterfly. Poco dopo l’assegnazione del Golden Globe a Zadora (che un decennio dopo smise di recitare per darsi alla musica), si scoprì che nelle settimane precedenti al voto alcuni membri erano stati ospiti nel casinò di Las Vegas di suo marito. All’epoca CBS, che trasmetteva la cerimonia, interruppe il suo accordo con la HFPA. NBC non ha fatto lo stesso per il caso di Emily in Paris. Ma alcuni membri l’hanno definito il sintomo che qualcosa debba cambiare, per evitare che l’associazione continui a perdere di credibilità.

Ricky Gervais Golden Globe 2016
YouTube

Ma perché non si può fare a meno della HFPA?

Perché Hollywood ne ha un gran bisogno, nonostante tutto. Da anni i Golden Globe sono screditati e derisi come i cugini più caciaroni e maldestri degli Oscar. Eppure da altrettanti anni l’industria dell’intrattenimento americano non solo li tollera, ma li sostiene pubblicamente.

Nel 2016 il comico Ricky Gervais aprì la cerimonia di premiazione definendo la HFPA «inutile». Poi aggiunse che i Golden Globe fossero «un pezzo di metallo che qualche vecchio giornalista gentile e confuso vuole darti di persona in modo da poter incontrarti e fare un selfie con te». Basta cercare un minimo per trovare simili affermazioni di altri artisti; ma anche per imbattersi in lodi successive, magari dette in pubblico poco prima o subito dopo aver ricevuto un Golden Globe.

I Golden Globe infatti sono una delle cerimonie televisive più seguite in America e nel mondo. Mentre altri eventi simili si stanno pian piano ridimensionando, i suoi ascolti si mantengono stabili tra i 18 e i 20 milioni di spettatori. Il che ne fa una vetrina eccezionale per gli studios, gli attori e le produzioni a cui partecipano.

Specie per i servizi streaming e i canali a pagamento, questo tipo di premi è uno strumento di marketing fondamentale per attrarre nuovi abbonati. E la HFPA è l’associazione più malleabile per poterli ottenere. I membri sono pochissimi, se confrontati con gli oltre 10 mila dell’Academy che assegna gli Oscar e i 25 mila della Television Academy. Inoltre sono esterni al settore e non hanno svantaggi nel fare favoritsmi, poiché non concorrono a loro volta.

Per questo motivo a Hollywood si è creata un’intera struttura finanziaria di ricompense per assicurarsi nomination e voti ai Golden Globe. Per assumere un award consultant, gli studios spendono di base 45 mila dollari; a cui si aggiunge un bonus di 20 mila dollari se si ottiene una nomination e un altro di 30 mila dollari per una vittoria. Amazon Studios, per dire, ha un’intera squadra di persone che si occupa solo ed esclusivamente di curare i rapporti con i membri della HFPA. I quali, a loro volta, fanno pressioni sui colleghi per non parlare con la stampa di questo sistema e rischiare di perdere i guadagni.

«Se gli studios volessero uccidere i Golden Globe, potrebbero farlo in una notte,» ha detto una fonte che ha lavorato a stretto contatto con la HFPA. «Ma a tutti piace ricevere un premio, e con i soldi e tutto quello che viene con uno show di simile importanza, è come una valanga che non puoi fermare.»

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