“The New Look”, l’alta moda al tempo della guerra
Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa sui primi sette dei dieci episodi di “The New Look”.
Il primo effetto collaterale di The New Look è che già dopo pochi minuti si vuole molto bene a Christian Dior, alla sua timidezza, alla morbidità d’animo, allo sguardo mesto che cade verso il basso, all’ingenuità – per niente tipica della mezza età – che traspare da ogni piccolo riflesso muscolare sul suo viso. O meglio, sul viso di chi lo interpreta. Perché se The New Look potrebbe essere la versione costosa di una di quelle fiction in costume che ripercorrono con spirito agiografico le vite di note figure storiche, a fare la differenza è la bravura di chi la recita e il legame che riesce a creare con chi lo guarda, non importa quanti scambi di favori il suo personaggio intrattenga con spietati nazisti.
Se non vi è chiaro cosa ci facciano Christian Dior e dei nazisti nella stessa trama, avete ragione: occorre chiarire. The New Look è la nuova serie di Apple TV+, un dramma storico – con qualche angolo più ridente – che racconta come un gruppo di grandi stilisti riuscì a spostare il centro dell’alta moda a Parigi nel secondo dopoguerra, rendendola culla di uno stile capace di risollevare molto più del semplice settore. È la storia, insomma, di come un tessuto ben avviluppato e il colore giusto possano contribuire a neutralizzare il dolore, anche quello causato dalle peggiori brutture del mondo.
“New Look”, infatti, è il nome che una caporedattrice di Harper’s Bazaar, Carmel Snow (Glenn Close), diede nel 1947 alla prima collezione presentata da Christian Dior. Perché nelle linee armoniche, nella vita stretta e le gonne ampie dei suoi abiti simili a fiori – quelli del giardino provenzale di sua madre – c’era non solo una nuova idea di femminilità, ma anche la sensazione che tornare a vedere un po’ di bellezza, tra le macerie, la miseria, il grigiore, il lutto lasciati dalla guerra, sarebbe stato davvero possibile. Detta così, pare di farla retorica e fin troppo semplice, ma la serie di Todd A. Kessler (sceneggiatore dei Soprano, creatore di Damages) vuole mostrare l’esatto contrario. Perché per rendersi conto di poter alleviare quello degli altri, di dolore, Dior e i grandi stilisti a lui contemporanei passarono prima attraverso il proprio.

E così, aperto il primo episodio con il debutto di quella collezione, The New Look torna indietro a pochi anni prima, al 1943, alla Parigi del regime di Vichy – in apparenza neutrale ma ben disposto ad aiutare i tedeschi con le deportazioni – e dei palazzi eleganti coperti da svastiche giganti, dove la moda divenne in segreto una potente merce di scambio. Del resto, i nazisti avevano un certo debole per i bei tessuti, e procurarglieli divenne per numerosi stilisti un’efficace strategia di sopravvivenza.
Lo è per Christian Dior (Ben Mendelsohn) – al cui sguardo aderisce gran parte del racconto – che da sarto di punta dell’atelier di Lucien Lelong (John Malkovich), disegna abiti per le mogli degli alti ufficiali, mentre nel suo signorile appartamento la sorella Catherine (Maisie Williams) ospita riunioni clandestine della resistenza francese. Almeno finché la sua deportazione non lo costringe a sfruttare tutto quel che possiede (soldi, stoffe ormai rare, buone conoscenze) per sapere se almeno sia ancora viva.
Lo è per Coco Chanel (Juliette Binoche) – protagonista dell’altra grande parte di racconto – che con la selvaticità che l’ha portata all’apice fornisce informazioni ai nazisti, poi cospira con la resistenza, e poi tenta di sottrarsi all’epurazione dei traditori, usando come unico lasciapassare il suo nome, ci sia da salvare un caro nipote fatto prigioniero oppure mantenere gli agi di una vita trascorsa al Ritz Hotel, dove le coppe di champagne non sono mai vuote.
E lo è per gli altri stilisti che gravitano attorno a loro, da Pierre Balmain a Cristóbal Balenciaga, ai quali però la serie offre uno spazio limitato. Benché si presenti anche come storia degli antagonismi tra leggende della moda, infatti, The New Look si sbilancia più sul racconto bellico. Fin oltre la metà degli episodi la rivalità lascia spazio a un sostegno quasi incondizionato, alla condivisione di un senso di colpa pulsante. Per loro, fare moda significa tenersi in equilibrio su un filo sottilissimo che separa l’autoconservazione dalla collaborazione con il peggior nemico.

Queste divisioni d’animo, The New Look riesce a renderle soprattutto grazie ai contrasti visivi e alla minuzia interpretativa degli attori. La bellezza degli abiti dei personaggi principali – quelli che indossano e quelli che creano – alleggerisce le strade cupe e sofferenti per cui si muovono, creando un contatto tra mondi che sono sempre parsi ben separati. (Il marchio Dior ha messo a disposizione i suoi archivi e creato una parte dei costumi di scena). Mentre Ben Mendelsohn avvicina a un Christian Dior sempre cauto, poco ambizioso, speranzoso fino alla faciloneria; Juliette Binoche replica la voce granulosa di una Coco Chanel terrorizzata all’idea di tornare alla miseria da cui è venuta; e John Malkovich rallenta con una naturalezza superba ogni parola, per trasmettere la bonarietà di un Lucien Lelong appesantito dalla guerra.
In The New Look, il mestiere con cui ognuno di loro anima i tratti dei rispettivi personaggi procura quasi più meraviglia di quanto questi ultimi hanno vissuto e creato. Solo non si capisce la strana ragione per cui, in un’epoca dove le serie tv sono ormai multilingue, tocchi sospendere l’incredulità al sentirli parlare in uno stravagante inglese dall’accento francese.
“The New Look” esce il 14 febbraio su Apple TV+ ed è composta da 10 episodi lunghi 37-62 minuti. I primi tre episodi sono disponibili da subito, poi uno alla settimana.
Guarda il trailerImmagine di copertina: Apple TV+