“The Crowded Room” avrebbe bisogno di uno spoiler
Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su tutti i dieci episodi di “The Crowded Room”.
La primissima scena di The Crowded Room, una delle serie più importanti che Apple TV Plus aveva da offrire quest’anno, potrebbe essere l’inizio del più classico dei thriller.
Siamo nel 1979, su un vagone della metro newyorkese, seduti di fronte a un giovane in stato di disagio. Lo si vede dagli occhi persi nel vuoto, dai capelli lasciati liberi di crescere in un fungo unticcio, dalla pistola avvolta in una busta di carta che tiene stretta tra le mani. Il giovane si chiama Danny Sullivan (Tom Holland) e fa coppia con Ariana (Sasha Lane), una tizia dall’aspetto ben più spavaldo del suo. Tant’è che, quando lui esita nel lanciare a proiettilate in mezzo al Rockfeller Center di Manhattan, è lei a finire il lavoro per poi lasciarlo lì da solo. La sua destinazione successiva è una stanza per gli interrogatori dove una certa Rya (Amanda Seyfried) lo aspetta per fargli un sacco di domande sul suo passato.
La psiche di Danny nasconde infatti un mistero misterioso che forse potrebbe scagionarlo. E che il creatore Akiva Goldsman (già maneggiatore di menti fragili in A Beatiful Mind) gradirebbe non fosse rivelato in questa sede. Lo ha chiesto alla critica in una lettera allegata all’anteprima della serie, insieme a una lista di pochi altri dettagli da non menzionare. Il problema però è che quei dettagli – benché si contino senza nemmeno scomodare tutte le dita di una mano – sono il nucleo che compone la particolarità della storia. E soprattutto, a chi guarda sono già tutt’altro che segreti.
Quello di The Crowded Room è un progetto che nell’ambiente cinematografico e televisivo ha circolato per diverso tempo e cambiato forma più volte: prima film di James Cameron con John Cusack protagonista, poi sfoggio della versatilità recitativa di Leonardo DiCaprio, poi raccolta antologica di storie criminali sulla salute mentale, poi solo una miniserie – almeno per ora. La base sbandieratissima è tuttavia sempre rimasta la stessa: un famoso libro del 1981, The Minds of Billy Milligan, nel quale lo scrittore Daniel Keyes raccontava la vera storia del criminale statunitense più spesso citato come esempio straordinario di quel disturbo mentale che qui non possiamo nominare.
Benché fosse stata presentata come adattamento dell’opera di Keyes, The Crowded Room se ne è poi discostata nell’esecuzione, prendendosi diverse libertà narrative. I crimini di Danny Sullivan sono ben meno gravi e le movenze timide che Tom Holland gli attribuisce suscitano una tenerezza istantanea. Attraverso i suoi dialoghi con Rya, attorno a lui emerge una rete di personaggi che paiono dividersi in buoni e cattivi. C’è la madre parecchio giovane (Emmy Rossum) succube di un secondo marito – per dirlo senza far arrabbiare Goldsman – falsamente rassicurante (Will Chase). Ci sono i due amici che colmano la sua solitudine, coprendogli le spalle da batoste relazionali e feroci spacciatori. C’è l’unica coetanea attratta dalla sua stranezza. C’è un israeliano dalla forza bruta che giunge a proteggerlo al momento opportuno. E c’è un fratello gemello, Adam, che sembra appartenere solo ai ricordi di infanzia.
Anche chi non avesse seguito le vicissitudini produttive di The Crowded Room o volesse ignorare la copertina del libro da cui proviene, l’omonimia del titolo con cui viene venduto in Italia (Una stanza piena di gente), l’assonanza tra i nomi di Billy Milligan e Danny Sullivan, ci vuol poco per cogliere la vera natura di ciascun personaggio nel senso della storia. Eppure, la serie prosegue a lungo nel trattarla come un mistero che può rivelarsi solo dopo aver sbrogliato una matassa di altri facili interrogativi. Perché Danny è considerato così strano? Come è possibile che ogni amico abbia una funzione precisa in precise situazioni di vita? Quali altri crimini peggiori ha commesso? Cos’ha intuito la sua incamiciata interlocutrice? E che fine ha fatto Adam?
La scelta di protrarre la segretezza, nell’ottica di Goldsman, serve a far capire la facilità con cui additiamo certi mostri, senza guardare al passato di inumane sofferenze che li hanno resi tali. Ma Danny Sullivan non sembra un mostro nemmeno a un primo sguardo. Forse per non turbare quest’epoca poco abituata a reggere la complessità, la serie ha allungato la sua storia per farla comprendere meglio (un film sarebbe più che bastato), spogliandola gradualmente dei suoi contrasti. Così, mentre gli episodi si affannano a semplificare ed esemplificare, intessendo salti all’indietro e dialoghi nel presente, stralci di dramma adolescenziale e thriller criminale, aneddoti significativi mal collegati, spiegazioni da manuale, l’impressione è di restare in attesa che il mistero-non-mistero venga svelato, per dare finalmente avvio alla storia.
Succede, non bisogna temere. Ed è il momento in cui The Crowded Room prende davvero vita. Ma forse arriva troppo tardi, quando l’accumulo di noia ha già raggiunto una certa consistenza (la cadenza settimanale degli episodi, poi, è possibile non aiuti). Il che dispiace abbastanza. Perché, dell’innominabile disturbo su cui intende sensibilizzare, questa serie ha portato in tv una delle rappresentazioni in assoluto più chiare e delicate. Non ci sono le squallide immagini scolorite dei documentari true crime. E nemmeno James McAvoy che s’infila in travestimenti più ridicoli che inquietanti. C’è, piuttosto, la stessa bella ed efficace metafora visiva che Moon Knight aveva già introdotto un anno fa, senza tuttavia avvolgerla di mistero. Ben conscia che l’attrattiva di una storia, spesso, si genera da uno spoiler.
“The Crowded Room” è su Apple TV Plus ed è composta da 10 episodi settiminali lunghi 39-57 minuti. I primi tre episodi sono già disponibili.
Guarda il trailerImmagine di copertina: Apple