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“Sugar” è un gran bel noir, con una gran bella svolta

Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su tutti i dieci episodi di “Sugar”.

Proprio quando pensi di aver visto ogni possibile variante di investigatore privato su schermo, ecco che Colin Farrell ti trascina a seguire con un certo entusiasmo il più tradizionale dei noir. E anche il più folle, si scopre poi.

Sugar (dal 5 aprile su Apple TV+) si apre con un classico bianco e nero, dove un classico detective risolve classici casi di persone che paiono svanite nel nulla. Il suo nome è John Sugar e, quando il mondo attorno a lui riprende colore, chiunque lo senta pronunciare deve farselo ripetere due volte: un accostamento così classico si pensava appartenesse solo ai vecchi film.

E in effetti, è dalla Golden Age di Hollywood che Sugar sembra uscito. Privo di impermeabile, ma gran estimatore del completo elegante cucito su misura, rumoreggia con la sua Corvette in una Los Angeles infestata di Tesla, beve laute quantità di alcol (benché non si sbronzi mai), parla con disinvoltura tutte le lingue del globo e ha un animo nobilissimo ma solitario. Come i più noti detective dei film, Sugar vive infatti solo coi suoi demoni: una misteriosa patologia che lo costringe a iniettarsi farmaci altrettanto misteriosi, un’attrazione particolare per il pericolo e un’istinto violento che tenta di reprimere anche davanti al più armato dei criminali. Ah, e un segreto che non può rivelare a nessuno (e che le spoiler list vietano di spiattellare a voi).

Di lui non si sa quasi niente, solo che il lavoro che s’è scelto è la via per sublimare la scomparsa della sorella. Così, quando il famoso produttore cinematografico John Siegel (David Crowell) si affida alla sua discrezione per ritrovare la nipote Olivia (Sydney Chandler), Sugar non pensa nemmeno per un attimo di rifiutare. Non importa che in pochi credano le sia davvero capitato qualcosa di brutto (il passato di tossicodipendenza certo non aiuta). E non importa che l’ambigua agenzia di spie – puntodidomanda – poliglotte a cui fa rapporto le tenti tutte per indirizzarlo su casi più pregnanti. Sugar ci si incaponisce come fosse una questione personale.
Sugar Colin Farrell serie tv Apple TV+ recensione
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Sugli angoli oscuri nei quali gli indizi conducono la storia, si potrebbe apporre un’etichetta di ordinaria amministrazione. I vizi neanche troppo nascosti di una dinastia annoiata s’intrecciano come al solito a traffici più malavitosi, con una discreta capacità di appassionare. Ma se i buoni thriller noir convincono a seguirli, non è tanto per il giallo in sé, quanto per il fascino del protagonista che impavido e silenzioso indaga. E nel suo, di protagonista, Farrell infonde un magnetismo che fa ombra su qualsiasi figura capiti al suo fianco in scena.

È lo stesso magnetismo degli Humphrey Bogart, dei Robert Mitchum, dei Glenn Ford, di cui Sugar possiede perfino la pistola passata per le sue mani nel Grande caldo. È un magnetismo che ammira, osserva, studia, guardando e riguardando i vecchi noir che colleziona e quelli che ancora proiettano in qualche cinema losangelino, per poi emularli nello stile, nella postura e pure nel pensiero.

Di copiare dai classici, infatti, la serie non si vergogna affatto, anzi. Il creatore Mark Protosevich (uno con pochissimi film all’attivo, tra i quali Io sono leggenda, e nessuna pregressa esperienza televisiva) li cuce direttamente nel tessuto visivo degli episodi, e non solo. Mentre la voce narrante di Sugar accompagna gli eventi con disincantate riflessioni sulla vita, e mentre il jazz tamburella serafico in sottofondo, alcuni spezzoni con i più grandi detective del cinema monocolore si sovrappongono con precisione maniacale alle sue movenze. Lui diventa loro, loro diventano lui, e la serie assume le sembianze di una piccola cineteca.

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Nell’animo antico di Sugar, però, sembra di intravedere al tempo stesso qualcosa di diverso. Il personaggio di Farrell è sì malinconico, ma mai davvero cinico; a muoverlo non è tanto il dovere, quanto la speranza; e per quanto solitario, non rifugge dal mondo che lo circonda, ma lo esplora con umanità e un certo senso di meraviglia. John Sugar si fa accudire dal personale dell’albergo di cui ha fatto la sua casa, tende banconote ai senzatetto, comunica con i cani e s’incanta a scrutare il riflesso delle foglie che vibra sul soffitto.

Che quel qualcosa non sia solo percezione, Protosevich lo rivela man mano che gli episodi (tutti piacevolmente brevi) avanzano. Lo fa instillando nel noir elementi di generi anche ben distanti, con un’intensità sempre maggiore, fino a cambiare quasi del tutto i connotati della serie e farla sbalzare al lato opposto del classico. Fin dall’inizio, Sugar si tiene infatti da parte una di quelle svolte impossibili che rimettono in discussione tutto, rinviandone i dettagli alla stagione successiva. Una quelle scosse che possono solo intrigare parecchio oppure risultare disastrose, ma in ogni caso costringono a procedere a ritroso per capire dov’è che l’inganno ci sia sfuggito.

“Sugar” esce il 5 aprile su Apple TV+ ed è composta da 8 episodi lunghi 33-50 minuti. I primi tre sono disponibili da subito.

Guarda il trailer

Immagine di copertina: Apple TV+

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