Apple TV+RecensioniSerie TV

“Silo” è un’esperienza immersiva

Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su tutti i dieci episodi di “Silo”.

Dei tanti modi in cui la finzione distopica ha immaginato la cupa deriva del genere umano, Silo s’è inventata uno dei più scenografici e claustrofobici. La sua storia si estende innumerevoli chilometri sottoterra, in una gigantesca città verticale dal grigiore deprimente, dove spazi comuni e appartamenti simili a tane sono collegati da spirali di scale, cunicoli e passerelle sospese nel vuoto. Al suo interno, rinchiuse da almeno un secolo, vivono le ultime diecimila persone rimaste sulla Terra. Uscire non è un’opzione contemplabile, se non per condanna a morte o suicidio: là fuori c’è un mondo distrutto da esalazioni tossiche che le ucciderebbero in pochi istanti. O almeno, è quello che è stato detto loro.

Sui segreti fitti e pericolosi del silo, lo scrittore americano Hugh Howey ha pubblicato in maniera indipendente una saga composta da nove libri, poi accorpati in una trilogia. Dopo diversi tentativi di portarla sullo schermo, la trasposizione è stata acquisita da Apple, che le ha dato forma secondo le proprie elevate ambizioni. Il silo è una struttura imponente e maestosa (come imponenti e maestose sono le dosi di computer grafica con cui è stato costruito), eppure fredda ed essenziale. A riempirne gli spazi, a riscaldarli, ci pensano i misteri celati da chi la abita: una comunità che ingloba moderno e primitivo, distribuita su decine di piani a seconda del ceto sociale, dove la manodopera sudaticcia se ne sta relegata nella pancia della Terra ad assicurare il funzionamento meccanico e agricolo del silo, mentre ai piani alti si esercita la legge dittatoriale, ma vestita di sacralità, tramandata da anonimi fondatori.

Apple TV

Qui vivono anche Holston (David Oyelowo) e Allison (Rashida Jones), una coppia di coniugi che introduce il pubblico alle dinamiche quotidiane e oscure del silo. Sceriffo lui, impiegata nella divisione informatica lei, hanno appena ricevuto il via libera per avere un bambino. Nel silo, infatti, le nascite sono controllate con capsule impiantate sottopelle e limitate finestre di giorni per procreare. Ma il fatto che riesca solo ad alcune categorie di persone inizia a insospettire. Davvero la legge dei fondatori è cucita sul nostro bene? Quante altre forme di controllo ci sono? Cosa c’era prima dell’apocalisse? Perché la memoria della normalità passata viene repressa? E soprattutto, cosa c’è realmente fuori dal silo?

Benché a innescare le domande siano Holston e Allison, la serie – come la saga letteraria – affida la ricerca delle risposte a un personaggio che per tutto il primo episodio resta sconosciuto. E qui inizia la storia. La vera protagonista di Silo si chiama Juliette ed è un’ingegnera dal passato travagliato, alla quale Rebecca Ferguson dà movenze risolute e uno sguardo indurito. Da addetta alla manutenzione dell’enorme generatore che fornisce energia all’intero silo, Juliette accetta di spostarsi ai piani alti come nuovo sceriffo, con l’unico obiettivo di far luce su una morte per lei sospetta e dolorosa. Ma presto le morti sospette si accumulano, i suoi dubbi si moltiplicano, e siccome la curiosità è un’inclinazione irritante per le autorità, il suo indagare la trasforma in nemico.

Guidata dall’istinto di Juliette e dalla struttura ramificata dei libri, la serie si muove di continuo sulle tante trame che si avviluppano lungo il silo. Si sale, poi si scende, poi si risale (no, non ci sono ascensori), e ogni tanto ci si ferma per guardare al passato o alle storie collaterali. Ma, per quanto generi dinamismo, la volontà di Graham Yost (già sceneggiatore di Speed e produttore di The Americans e Slow Horses) di replicare i blocchi narrativi rappresentati da ciascun romanzo non sempre è efficace.

Silo-serie-tv-Apple-recensione
Apple TV

Lì dove sceglie di tornare su elementi già ampiamente maneggiati, Silo potrebbe sviluppare altri interrogativi e personaggi che invece restano incompiuti. Come Bernard, l’enigmatico capo del dipartimento informatico interpretato da Tim Robbins. Come Martha l’aggiustatutto agorafobica interpretata da Harriet Walter, che per Juliette è come una madre. O ancora come il ribollire degli animi nella pancia del silo, dove il ceto popolare potrebbe scatenare una rabbiosa ribellione. E infine l’oscillare tra il credo e lo scetticismo di chi esercita il potere. (Ci sarebbe poi anche il cattivo Sims, capo delle forze armate, ma la staticità attoriale del rapper-attore Common lo svuota di ulteriori dimensioni).

Visti i dieci lunghi episodi, l’impressione è che la serie soffra a tratti di un’inconsistenza comune a parecchie saghe. L’ansia di dover mostrare tutto e subito al pubblico, con il rischio di non approfondire, è il problema che procurano i mondi molto ricchi da adattare. Silo non è Dune, insomma, non è Andor, e nemmeno Snowpiercer, per quanto sia loro assai familiare. Ma l’esperienza è immersiva, Ferguson la rende solida e, per ogni tassello di storia che si rivela, riserva almeno cinque minuti di palpitazioni. Nell’attesa di arrivare al vero e unico nucleo della questione: cosa caspita ci sia là fuori.

“Silo” esce il 5 maggio su Apple TV Plus ed è composta da 10 episodi lunghi 44-63 minuti. I primi due sono disponibili da subito.

Guarda il trailer

Immagine di copertina: Apple

Leggi anche

1 Comment

  1. Per sapere se il mondo esterno è tornato vivibile, chiunque non fosse un completo idiota manderebbe fuori una squadra scientifica organizzata per rientrare riportando dati completi sull’esterno. Che gli abitanti del Silo si limitino a esaminare l’esterno per secoli attraverso una telecamera è contrario alla normale logica umana.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *