E adesso cosa farà Diane?
Nel novembre del 2016 gli sceneggiatori Robert e Michelle King avevano quasi completato il copione di The Good Fight, lo spin-off del loro drama politico-legale The Good Wife. La serie sarebbe ripartita dal personaggio di Diane Lockhart (Christine Baranski), avvocata ultra-democratica e super femminista in procinto di pensionarsi dopo aver raggiunto ogni obiettivo di vita, compreso veder eleggere la prima presidente donna degli Stati Uniti.
La storia però fece giusto una piccola deviazione, e anziché Hillary Clinton alla Casa Bianca ci finì Donald Trump. I King si rimisero al lavoro per cambiare una grossa parte di sceneggiatura. Una serie come la loro, tratta da un’altra serie che per un decennio aveva seguito l’evolversi dell’attualità, non avrebbe potuto far finta che un evento così inatteso e importante non fosse accaduto. Un mese esatto dopo l’insediamento di Trump il primo episodio di The Good Fight era pronto per essere rilasciato. S’intitolava Inaugurazione e si apriva con Diane seduta su un divano, nel buio totale, che fissava la tv come se stesse guardando un film horror. Invece era il giuramento di Trump.
The Good Fight non è un caso isolato. Negli ultimi quattro anni la presidenza di Trump ha prodotto un cambiamento considerevole nel mondo seriale. Così evidente che, adesso che il suo posto lo prenderà il più moderato Joe Biden, vien da chiedersi cosa succederà alle serie tv. Specie a quelle che sull’elezione di Trump hanno basato il proprio successo.
Come Trump ha spiazzato le serie tv
In realtà è cosa piuttosto fisiologica che la tv cambi e si evolva in base all’avvicendarsi dei governi. Soprattutto negli Stati Uniti – dove la narrazione televisiva è da decenni questione seria – ogni nuova amministrazione ha avuto le sue serie di riferimento. Talvolta, con differenze percepibili anche tra un mandato e l’altro di uno stesso presidente.
Con l’elezione di Trump questa tendenza è sembrata tuttavia molto più visibile. In parte perché si veniva dagli otto anni ben meno agitati dell’amministrazione Obama. In parte perché poche volte prima d’ora era successo che la realtà riuscisse a superare l’immaginazione – notoriamente fervida e contorta – dei migliori sceneggiatori.
Per intenderci, anche Shonda Rhimes – una che è riuscita a far uscire indenni i suoi personaggi da disastri aerei e plateali omicidi politici – ha detto più volte di essere rimasta spiazzata dall’elezione di Trump. Scandal, la sua serie dove gli scandali colpivano la Casa Bianca con la puntualità di una pioggia di meteoriti, tirò avanti per altre due stagioni. Poi nel 2018 si concluse con pubblico diminuito e carenza di idee.
“Le nostre storie avrebbero raccontato quello che sarebbe successo se un autobus avesse perso le ruote e non ci fosse stato nessuno a guidarlo. Il problema adesso è che quell’autobus ha perso davvero le ruote e nessuno lo sta guidando,” spiegò Rhimes. Nel mondo, insomma, gli eventi surreali che Rhimes avrebbe scritto per Scandal stavano accadendo davvero. “È molto difficile scrivere Scandal nel modo in cui lo facevamo, quando era ‘Facciamo Washington il posto più scandaloso, spaventoso che possa essere’” disse al Chicago Tribune.
In questi quattro anni altre serie hanno perso buona parte della loro brillantezza dopo l’elezione di Trump. House of Cards, ad esempio, il cui presidente cattivissimo interpretato da Kevin Spacey (poi licenziato poiché accusato di molestie) non sembrava più così lontano dalla realtà. “Le nostre concorrenti non sono più le altre serie tv,” disse il suo showrunner Frank Pugliese, “ma i canali di notizie e il modo in cui parlano della presidenza”.
La comedy Veep! riuscì invece a durare un po’ più a lungo, ma la sua percezione cambiò parecchio. Julia Louis-Dreyfus, che interpretava la protagonista Selina Meyer, prima vicepresidente e poi presidente narcisista e incompetente, disse che da satira politica la serie si era quasi trasformata in un documentario. “Abbiamo una serie su alcuni politici invischiati nelle proprie gaffe,” spiegò l’attore Timothy Simons, “e adesso viviamo in un mondo dove non c’è gaffe che sia grande abbastanza”.
Le serie tv dell’era Trump
Benché superata in surrealismo dalla stessa realtà, Veep! cercò di proseguire immaginandosi cos’altro sarebbe potuto accadere. Ci riuscì in parte, se si considera che in parallelo l’amministrazione Trump fissava livelli di assurdo sempre più alti. Il suo finale fu però un tentativo significativo e amaro di incanalare la frustrazione accumulata: lo smacco, per la sua presidente narcisista, di essere dimenticata dai media il giorno del suo funerale, oscurata dalla morte di Tom Hanks.
Come Veep! durante la presidenza di Trump altre serie provarono a cambiare passo. In particolare, alcune che fino a quel momento erano rimaste piuttosto neutre e chiuse nel proprio mondo, iniziarono a mostrare un’evidente posizione politica. È il caso di American Horror Story: Cult, scritta dallo sceneggiatore Ryan Murphy – anche lui, come Shonda Rhimes, noto per la prolificità nel posizionare colpi di scena assurdi. La settima stagione della serie horror ruotava attorno ai disturbi psichici di una donna (interpretata da Sarah Paulson), aggravati all’elezione di Trump.
Come Murphy, sono diversi gli sceneggiatori che negli ultimi quattro anni hanno introdotto personaggi e sottotrame che riflettessero le tante questioni politiche e sociali sollevate dall’approccio di Trump. Ognuno facendolo a modo proprio.
Mondo parallelo vs. realtà
Tutto ciò che le serie tv hanno creato da zero durante l’amministrazione Trump, comunque, si potrebbe dividere secondo due tipologie di reazione: raccontare questo periodo storico oppure creare un mondo parallelo nel quale rifugiarsi per dimenticarlo.
Uno degli esempi meglio sviluppati della prima tipologia è Succession, la serie di HBO che segue una famiglia proprietaria di uno dei conglomerati mediali più potenti del mondo. La sua trama è uno specchio abbastanza fedele di come l’informazione si stia evolvendo, del suo ruolo politico (si pensi al rapporto tra Fox News e l’ascesa di Trump), e anche delle dinamiche famigliari che possono plasmare una personalità come quella di Trump. Il tutto, senza mai nominarlo direttamente.
Altre serie hanno invece portato all’estremo le possibili conseguenze della politica trumpista. Come The Handmaid’s Tale, la serie tratta dal romanzo di Margaret Atwood, dove gli Stati Uniti sono diventati un regime totalitario e teocratico nel quale le donne non hanno diritti. Oppure come Watchmen, che ha rielaborato il fumetto del 1986 per raccontare un’America dove la violenza razziale e i metodi per combatterla raggiungono il massimo livello di crudezza.
The Good Place al contrario è considerata il miglior esempio della seconda tipologia – quella di chi ha inventato un mondo parallelo in cui rifugiarsi. Si tratta di una comedy ambientata in un paradiso color pastello dove una donna non proprio esemplare crede di essere finita per sbaglio. Per quattro stagioni la serie non ha rinunciato affatto a parlare di questioni attuali. Ma le ha inserite in un contesto molto ottimista (e non moralista), dove la società aiuta a diventare persone migliori. Il che ne ha fatto, secondo molti critici, un antidoto alla cattiveria e al cinismo esibiti dell’era Trump.
Certo, bisogna considerare che molte di queste serie erano già in programma o in produzione un po’ prima che Trump diventasse presidente. Ma è abbastanza evidente la sua elezione abbia influito sulla loro creazione, e soprattutto sui significati che gli sono stati attribuiti.
Le serie tv prima di Trump
Il punto perfetto di questo passaggio è rappresentato tuttavia da The Good Fight. La serie dei coniugi King ha seguito passo passo ogni singola questione emersa durante la presidenza di Trump. In quattro stagioni si è parlato di accordi di riservatezza, del cosiddetto pee tape, di interferenze russe, della storia di Melania Trump, presunta immigrata clandestina, fino alla morte sospetta di Jeffrey Epstein. Questo non significa però che la serie sia stata particolarmente lusinghiera nei confronti dei democratici: molti di loro finiscono per compromettere i propri ideali.
Finora la serie non ha mai usato molti filtri nel raccontare la realtà e soprattutto nel mostrare la propria avversione per Trump. E così facendo è diventata un posto dove gli spettatori potessero vedere compresa la frustrazione di vivere in un simile periodo storico.
Il motivo per cui The Good Fight segna il passaggio all’era Trump però è un altro. Viene molto prima, ed è la serie originale da cui è tratta. The Good Wife infatti è un ottimo esempio di serie tv nata sotto la presidenza di Obama. Il suo primo episodio andò in onda nel 2009, messo in moto da uno scandalo sessuale che vedeva coinvolto un noto procuratore democratico, costringendo la moglie a riprendere in mano il lavoro di avvocata. Per sette anni i suoi episodi s’immaginarono un mondo politico affannato dal tentativo di coprire i propri scandali. Cioè l’esatto opposto del suo spin-off The Good Fight, dove non c’è scandalo di enorme portata che possa turbare la Casa Bianca.
Negli anni di Obama, dunque, le serie tv si comportarono in maniera piuttosto simile a quelli di Trump, ma in maniera opposta. Rifletterono cioè l’epoca in cui si trovavano, che però era pervasa di relativo ottimismo; oppure crearono mondi paralleli, che però erano la peggior distorsione immaginabile della realtà. Se il mondo era ancora un posto tutto sommato tranquillo e fiducioso, insomma, ci si poteva ancora permettere di sopportare la cattiveria di House of Cards, il pessimismo di The Walking Dead, il potere corrotto (ma punibile) di Scandal.
Le serie tv del dopo Trump
Con l’elezione di Joe Biden il 6 novembre scorso, una delle prime domande che avrà accomunato molto seriofili è cosa accadrà alle serie tv che hanno tratto la loro forza proprio dalla presidenza di Trump. Contro chi battaglierà cioè The Good Fight o di quale politica sarà allegoria The Handmaid’s Tale.
La risposta – naturalmente – è che è troppo presto per dirlo. Biden e la sua vice Kamala Harris sembrano aver già avviato un ritorno alla politica più conciliante, democratica e multirazziale che aveva caratterizzato l’era Obama. Eppure per ora l’impressione è che le serie tv non reagiranno nella stessa maniera in cui avevano reagito all’elezione di Obama.
Durante i quattro anni di Trump si è aperta una profonda spaccatura di idee, che ha sollevato questioni rimaste latenti per molto tempo e molto complicate da far riassorbire a breve. Inoltre, dobbiamo fare i conti con la nostra visione disincantata del mondo. Ormai non siamo più molto abituati ad aspettarci scuse o pieghe da parte di chi commette errori palesi. Al momento quindi è piuttosto difficile credere che torneremo a stupirci per serie tv basate su scandali o altri assurdi colpi di scena che in questi anni abbiamo già vissuto nella realtà.
Una cosa abbastanza probabile però c’è: ed è una riconcilazione tra Hollywood e chi lavora alla Casa Bianca. Il che significa, dopo quattro anni di vuoto, che le serie tv potrebbero tornare a rendere un po’ più pop la comunicazione di chi governa. E chi governa, a sua volta, potrebbe tornare a concedere qualche comparsata d’eccezione. Biden sa già come fare entrambe le cose, del resto.
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