I Tonfi e Trionfi di giugno 2020
A giugno, in genere, si inizia a tirare qualche somma di come stia andando l’anno seriale, ma per il 2020 è stato anche un mese cruciale per capire che direzione stia prendendo Netflix in fatto di serie tv. E cioé, se ne è tratto che le produzioni internazionali hanno un ruolo sempre più importante (e strategico) per la sua crescita; che non tutte sono particolarmente originali, eppure molte di queste sono ottimi diversivi; che lo standard più alto da seguire appartiene a una serie tedesca alquanto incasinata. Ma soprattutto, se ne è tratto che Netflix è lanciatissima eccetto che in Italia, dove continua a brancolare nel buio e produrre cosette non tanto appaganti. La questione, però, è che la colpa potrebbe essere anche un po’ nostra. Il meglio e il peggio delle serie tv di questo giugno 2020 ne racchiude un quadro abbastanza nitido.
Il meglio e il peggio delle serie tv di giugno 2020
Trionfi: Il poco ma buono di The Woods e Into the Night
Una è un thriller polacco tenebroso, dove il presente è un poliziesco con protagonista un procuratore e il passato un teen drama con omicidio tra i boschi. L’altra è una storia belga fanta-apocalittica, su un aereo che deve viaggiare senza sosta verso il buio perché la luce del sole è diventata letale. Nessuna delle due (specie la seconda) ha una profondità eccezionale. Entrambe però incollano alla tv per un tempo sufficiente a concedersi un’avventura. A riprova che non sempre serve invischiarsi in numeri particolari. A volte basta solo far bene quel poco che si fa.
Tonfi: L’insensatezza di Reality Z
Tralasciando i candidi interrogativi a Netflix sul perché ambientare una serie tv sul set di un reality show tipo Grande Fratello ma in versione Olimpo, la vera questione è il perché scegliere la via del remake brasiliano fuori tempo massimo. L’originale, Dead Set di Charlie Brooker, ottenne elogi per la sua lettura distopica del reality in un periodo – il 2006 – in cui tv e spettatori pendevano dalle labbra del genere. Perciò a cosa serve, di grazia, un rifacimento tale e quale oggi, nel periodo più basso che il reality potesse affrontare?
Trionfi: La stranezza di On Becoming a God in Central Florida
C’è Alexander Skarsgård con tupè, dentiera e completi di un marrone mortificante, che pensa di svoltare vendendo carta igienica in quantità industriali. C’è Kirsten Dunst con apparecchio e cotonatura, che intende riprendersi con molte imprecazioni quel che – crede lei – il sogno americano le ha tolto. Ci sono poi degli alligatori, lezioni di aquagym e soprattutto una disamina molto puntuale del cancro che sono le società di marketing piramidale. È una cosa assai strana, questa serie. Ma avrebbe meritato più attenzione.
Tonfi: La lungaggine di Eurovision Song Contest: La storia dei Fire Saga
Will Ferrell, appassionato di Eurovision Song Contest causa moglie svedese, si è documentato per due anni prima di mettere in piedi un film sulla competizione canora più kitsch d’Europa. Il che lo ha aiutato a renderlo digeribile almeno agli assidui dell’evento, quest’anno rimasti a digiuno di psichedelie, ritornelli astrusi ma canticchiabili, faide di televoto tra paesi e costumi che nemmeno a Carnevale. Il resto, infatti, è un insieme di sketch già visti e affatto comici, che si prolunga inutilmente per due ore. E non c’è davvero motivo, al di fuori di Dan Stevens in versione convinto George Michael russo, per cui valga la pena di sprecarle.
Trionfi: L’intelligenza di Normal People
Quel che ci si aspetta dalle storie romantiche – di quelle che raccontano l’infinitezza del vero amore – è in genere sognante e affettato. Quel che invece la scrittrice irlandese Sally Rooney ha fatto è raccontarne una nella maniera più fredda, tagliente e chirurgica possibile. La squadra che l’ha portata in tv l’ha riscaldata stringendo le inquadrature sulle nevrosi corporee dei suoi due protagonisti, che sono irrealmente perfetti, eppure alimentano l’immedesimazione. Anche il sesso, in questa serie, riesce a essere un esercizio di appagante intelligenza.
Tonfi: La testardaggine sfiancante di Tredici
La serie per teenager più masochista nella storia seriale è tornata per una quarta e ultima stagione, giustappunto per dare conferma del suo masochismo. La sua storia, infatti, avrebbe potuto (e dovuto) benissimo fermarsi alla prima imperfetta ma apprezzabile stagione. Invece ha ceduto alla vanità di andare avanti credendosi di utilità sociale, slabbrando il racconto alla maniera surreale di una Shonda Rhimes qualunque. Ebbene, lo stesso pubblico che ne aveva chiesto il rinnovo, ha passato un biennio a supplicare che per favore lo strazio si fermasse. L’unica lezione che può dare è che muoversi nella direzione opposta dei desideri spettatoriali è spesso buona cosa.
SuperTrionfo: Il casino esemplare di Dark
Se l’intento di Netflix è davvero puntare sulle produzioni internazionali per distogliere il pubblico anglofono dalla serialità americanocentrica, questo è lo standard da seguire. Un casino estremamente intricato, ma estremamente ben costruito in ogni minimo ingranaggio. Un racconto che non si guarda soltanto, ma richiede episodio dopo episodio di posizionare ogni tessera al posto giusto, tornando alle puntate precedenti, se necessario. Una specie di librogame di cui da europei si è assai orgogliosi, benché il vanto dovrebbe essere in realtà prerogativa tedesca.
SuperTonfo: Lo smarrimento di Netflix Italia
Al contrario delle sue divisioni europee, quale direzione voglia imboccare Netflix Italia ancora non lo si è capito. Sono almeno tre anni ormai che si attendono serie tv in grado di dare slancio alla serialità italiana, e invece le nuove uscite si rivelano totali arroccamenti sulle sciagiure della nostra fiction passata. Dopo il lume di Suburra è stato tutt’un brulicare di banalismi adolescenziali potenzialmente avvincenti, ma nel concreto affliggenti. Se però si considera che non c’è prodotto di Netflix che non nasca dallo studio dei dati di fruizione, c’è da sospettare che un po’ ce la siamo voluta noi.
La rimandata del mese: Curon
Prima era la serie che finalmente avrebbe potuto dare un senso alla presenza netflixiana sul territorio italiano. Poi si è palesata la serie simbolo del pantano che immobilizza la serialità nostrana. Perché un racconto mystery con lievi presagi horror non può lui per primo aver paura di inquietare fino in fondo lo spettatore. E perché un paesaggio che già da sé sarebbe protagonista – non da tutti i laghi spuntano campanili – non può essere mortificato e dimenticato fuori dal racconto. C’è però ancora una piccola speranza che Ezio Abbate riesca ad aggiustarlo come ha fatto con Suburra.
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