“Sei pezzi facili” è un meraviglioso atto d’affetto
Tra le cose che più di tutte mancano alla nostra televisione c’è la scrittura di Mattia Torre. La morte – personaggio scomodo – se l’è portata via poco più di tre anni fa, e con lei la sua rara puntualità nel descriverci tutti da dentro, come paese e come persone.
Quel che però la morte ha lasciato sono le opere che Torre ha scritto fino all’ultimo, e un senso dell’amicizia tanto forte, in chi ha lavorato con lui, da continuare a rigenerarle con ammirabile tenacia in cose nuove: dopo il ritorno di Boris, che Torre l’ha fatto rivivere nel personaggio dello sceneggiatore fantasma, quello incamiciato, è adesso il momento delle opere teatrali.
Sei pezzi facili è il titolo del progetto che ogni fine settimana, fino a metà dicembre, porterà in tv una piccola selezione degli spettacoli che negli anni Torre ha scritto per il teatro. A dirigerli c’è Paolo Sorrentino, che a Torre era legato fin dagli inizi di carriera e che con lui condivide la stessa pulita, raffinata precisione nel cogliere ironie e patemi dell’animo umano, per tradurli in dettagli visivi. Poi ci sono gli attori: Valerio Mastandrea, Paolo Calabresi, Valerio Aprea, Geppi Cucciari, per dirne qualcuno. Gli stessi a cui Torre aveva affidato i suoi personaggi teatrali, anch’essi legati allo sceneggiatore da amicizie anche più che ventennali.
Mentre i testi di Torre raccontano e ci raccontano con invidiabile sensibilità in ogni nostra dimensione (sia il cibo che mangiamo o la paura di morire), ciò che nel rigenerarsi delle sue opere davvero riempie gli occhi e scalda il cuore è la spontanea sicurezza con cui gli artisti posizionano accenti, scandiscono parole, calibrano movimenti, sapendo come tenere in vita lo stile profondo, divertito e mai scontato del suo autore. Quello che, volendo, può farti piangere pure guardando Boris.