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‘Russian Doll’, il loop mortale che dovrebbe non finire mai

Una delle poche inalienabili certezze della vita è che, se mai capitasse davvero di vedersi condannati a rivivere in eterno uno stesso giorno, di sicuro non si tratterebbe del migliore della propria esistenza. Anzi. Lo insegna una lunga (da occupare addirittura una pagina di enciclopedia virtuale) tradizione di titoli da grande e piccolo schermo che nei decenni hanno maltrattato i propri protagonisti declinando tale meccanismo. In Ricomincio da capo – uno dei più famosi, al momento su Sky Go – per il meteorologo Bill Murray è sempre il Giorno della marmotta; il peggiore possibile, cioè, per un tale che dal bearsi dell’onnipotenza della previsione finisce rimpiazzato da un roditore qualunque. In Russian Doll, invece, alla newyorkese Nadia Vulvokov tocca ricominciare sempre dal giorno del suo trentaseiesimo compleanno.

Non il peggiore dei mali, in linea di massima. A meno che non si tratti della stessa età che aveva tua madre quando si suicidò e, per giunta, tu non sia una burbera logorroica che finge euforia per velare il nichilismo più assoluto.

Russian Doll-serie tv-recensione
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Nadia potrebbe essere Fleabag oppure Hannah Horvath. Ha il volto insolente ma sottile di Natasha Lyonne – la Nicky di Orange Is the New Black – una criniera di ricci rosso fuoco e la voce granulosa di chi al fiatare alterna sigarette. È come “se Andrew Dice Clay e la ragazzina di Ribelle avessero avuto una figlia” dice tagliando corto. “Fumo due pacchetti al giorno. Ho gli organi interni di un uomo che ha il doppio dei miei anni”. L’immagine che ha di sé (e che comunica egregiamente) è quella di un corpo in cui convivono l’anima di un’adolescente e quella di un’anziana, reclamando il libero diritto all’autodistruzione dell’una e al pessimismo lamentoso dell’altra.

Per lei la ricorrenza non è affatto da celebrare. “Festeggiare è roba da idioti. Fissare la canna della pistola della mia mortalità batte il divertimento” spegne l’entusiasmo dell’amica Maxine (Greta Lee). Poi abbandona la sua festa con uno sconosciuto, fa un salto all’alimentari ed esce di nuovo alla ricerca di Semolino, il gatto che come lei non ama vincoli. Peccato che all’improvviso un taxi arrivi a spazzarla via.

Morente sull’asfalto, però, Nadia rimane poco. Le basta esalare l’ultimo respiro per risvegliarsi nel bagno “un po’ troppo vaginale” del suo party. E così accade ancora, ancora e poi ancora. Difficilmente riesce a sopravvivere fino al mattino successivo, svariate cadute dalle scale o nelle fauci di uno scantinato, annegamenti e fughe di gas la riportano ogni volta intatta al punto di partenza.

Natasha Lyonne – che con la brillantezza sconosciuta ad Adriano Celentano scrive, produce e dirige anche, assieme a Leslye Headland e Amy Poehler – ha creato tuttavia un’eroina più che concreta. Prima di pensare al paranormale, Nadia chiede spiegazioni allo spacciatore di fiducia e pensa che i disturbi della madre stiano finalmente rivelando la loro componente genetica. Fin quando perlomeno non s’imbatte in Alan (Charlie Barnett), che è il suo esatto opposto, ma ha il suo stesso problema. Da scaltra programmatrice di videogame qual è, capisce così di dover individuare il bug, l’inghippo, e correggerlo, tentativo dopo tentativo.

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Guardare Russian Doll, è pertanto pari alla sensazione di utilizzare tutte le vite possibili per accedere vittoriosi al livello successivo. Chiunque, anche l’ultimo irriducibile di Pac Man, l’avrà provata almeno una volta. S’impara dal fallimento precedente e si riparte con più cautela (in questo caso, armatura da football compresa).

Ma nel loop insistente la frustrazione dello spettatore rimane inesplosa. La trama si sfilaccia infatti in frange fitte ma rapide, sempre diverse, sempre attente a fare un passo in avanti. Nadia è una matrioska, un guscio dopo l’altro ha bisogno di guardare dentro di sé e venire a patti con il passato irrisolto, per poter superare il blocco della crescita.

In questo meccanismo di riflessione su scelte di vita (e di morte), la comedy non è certo inedita. Come Maniac gioca con i dettagli della memoria, ma senza farsi troppo enigmatica. Come Forever e Black Mirror: Bandersnatch si diverte a interrompere il nastro a un passo dalla risoluzione, ma senza contemplare noia e nausea.

Cosicché, nonostante il suo cerchio arrivi a semichiudersi, di Russian Doll si vorrebbe un carico di episodi in più. Per continuare a godersene i personaggi stravaganti e ulteriormente sviluppabili, i dialoghi frizzanti da segnarsi per ogni evenienza, e ovviamente le escandescenze della protagonista.

“Scusate se ho URLATO. Sto avendo una TERRIBILE, INTERMINABILE nottata!” sbotta rauca già nella seconda mezz’ora.

E se potesse sapere quanto il doppiaggio e i sottotitoli di Netflix ne mortifichino la raffica di orgogliose battute (“terrifying” da questa parti non significa proprio “fantastico”), forse sbraitererebbe anche di più.

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