È difficile stancarsi di Zerocalcare
Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su tutti i sei episodi di “Questo mondo non mi renderà cattivo”.
Della nuova serie di Zerocalcare, l’istinto dice, si parlerà probabilmente meno di quanto sia stato fatto con la precedente.
Strappare lungo i bordi metteva al centro noi, le nostre paure, i blocchi, le presunte sindromi dell’impostore. Le riconosceva, le scagionava, le avvolgeva in un caldo e sentito abbraccio consolatorio. Questo mondo non mi renderà cattivo dice invece che è arrivato il tempo di scollarsi dal guardare solo e soltanto sé stessi. C’è da osservare anche il mondo attorno, il modo in cui ci manipola e lo manipoliamo, fare spazio alle cose che non vediamo – o preferiamo non vedere. E siccome ad accogliere la complessità non siamo mica più tanto bravi, è un posto ben più scomodo da abitare.
Questo mondo non mi renderà cattivo è ancora la vita di Zero e dei suoi due immancabili amici Secco e Sara, ma stavolta rapportata ad altre vite spesso invisibili e disprezzabili. Quella di Cesare, che dopo vent’anni in comunità fatica a reintegrarsi nel quartiere in cui è cresciuto. Quella di uno sparuto gruppo di migranti appena accolto in un centro poco distante. Quelle di raffazzonati pseudo-estremisti che vogliono scacciarlo. E quella di chi si sente in dovere di mettersi in mezzo, ma non sa bene come.
Negli ultimi, naturalmente, Zerocalcare colloca anche sé stesso, procurandosi il solito vorticoso rimuginare sulle ansie passate, presenti e future dell’essere e del dover essere, del dover avere un opinione su tutto, del non deludere nessuno, del mostrare coerenza ferrea, del saper sempre da che parte stare, mentre chi ti tira dalla propria cerca di convincerti sia l’unica giusta.
Lo fa dalla stanza di un commissariato, un po’ alla True Detective (lo ha detto lui, premettendo di tenere conto delle dovute proporzioni). Lo fa come sempre con un flusso di coscienza che procede per un accumulo di elementi noti, ma nel mentre si concede di sperimentare. Ci sono i ricordi d’infanzia, gli imbarazzi dell’adolescenza, gli schiaffi morali dell’Armadillo (un Valerio Mastandrea che ti commenta la vita anche per noi, grazie), i pensieri che prendono la forma sgranata di vecchi videogiochi, pupazzetti di cartone, serie di Netflix. E poi le emozioni maschili represse, quelle femminili date per scontate, gli «Annamo a pijà er gelato?» di un Secco che acquisisce sempre più dimensioni («Non vuole che mi esprimo, è come il padre di Billy Elliot», si lamenta prima di piroettare).
Infine ci sono le voci falsate, strascicate, romanesche, logorroiche, con cui Zerocalcare anima ogni suo personaggio. La serie le alterna a voci esterne (si sente Silvio Orlando, e tanti cari saluti al cardinale Voiello), cercando però una formula diversa, perché Strappare lungo i bordi aveva già svelato il trucco, e perché diverso è il significato da comunicare. Il finale lo restituisce dopo sei mezz’ore, chiaro, pulito, semplice – forse un po’ troppo – e privo di una risposta precofenzionata. Il bello, tanto, è già passato. È la meraviglia di assistere a come il groviglio turbolento si assottigli gradualmente diventando quiete. È il raro conforto di sapere come ci sia ancora qualcuno in grado di maneggiare la sensibilità altrui, senza per forza sovrapporla alla propria. Ed è il motivo per cui è difficile stancarsi di Zerocalcare.
“Questo mondo non mi renderà cattivo” è disponibile su Netflix ed è composta da 6 episodi lunghi 24-34 minuti.
Guarda il trailerImmagine di copertina: Apple