“Presunto innocente” è il thriller dell’estate
Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su sette degli otto episodi di “Presunto innocente”.
A David E. Kelley piacciono i segreti. Specialmente quelli che emergono rimestando i panni sporchi di gente dalla vita in apparenza invidiabile. Lo ha fatto, con dovizia impeccabile, qualche anno fa con le amiche distintissime di Big Little Lies, poi ha replicato con The Undoing e ritentato con Anatomia di uno scandalo, riuscendo ogni volta a ritagliarsi l’attenzione del pubblico per un tempo di gran lunga superiore a quanto accada in quest’epoca di thriller usa e getta. (Sì, ci sarebbe anche Nove perfetti sconosciuti, ma in quel caso il vero segreto è come abbia fatto a farsi rinnovare).
Fa parte dell’umano: sospettare che chi ha più di noi non ce la racconti proprio tutta giusta e desiderare almeno un poco che a un certo punto inciampi. Così, per attutire la percezione delle nostre disgrazie. E più la perfezione s’è fatta largo sugli schermi dei nostri telefoni, più l’attesa di vederla sgretolarsi s’è fatta morbosa. David E. Kelley l’ha capito bene, e perciò ha cercato altri panni sporchi da rimestare.
Gli ultimi li ha trovati ancora una volta in un romanzo, Presunto innocente, pubblicato da Scott Turow nel 1987, adattato in un film con Harrison Ford tre anni dopo, e adesso diventato una serie di Apple TV+ co-prodotta da J.J. Abrams. E siccome al sentir nominare la piattaforma avrete già immaginato la notorietà del cast, vale la pena di dire subito che l’interprete principale è Jake Gyllenhall, uno dei pochi a Hollywood che finora si era tenuto alla larga dal comparire in una serie tv.

La sua prima eccezione si chiama Rusty Sabich, esemplare padre di famiglia e rispettato viceprocuratore di Chicago, abituato a muoversi per le aule di tribunale con un certo sorrisetto di supponenza, che tuttavia gli cala vertiginosamente a pochi minuti dall’inizio del primo episodio. Quando, cioè, scopre che il nuovo fascicolo che gli è stato assegnato non è quello del solito caso di omicidio. La vittima, Carolyn Polhemus (Renate Reinsve), è stata infatti la sua collega più stretta, così stretta da esserci finito a letto ripetute volte. E il fatto che ora il suo corpo giaccia rigido e brutalmente legato sul pavimento del suo appartamento, lo stesso dove Rusty è stato la sera prima, potrebbe fare di lui il principale sospettato.
A questo punto gli astuti consumatori di thriller televisivi – o più semplicemente chi abbia letto il titolo – avrà capito che sì, Rusty Sabich diventa presto l’unico indiziato. Anche perché, sullo sfondo, le elezioni per scegliere il nuovo procuratore distrettuale sono vicine e il candidato Nico Della Guardia (O-T Fagbenle), insieme al suo vice Tommy Molto (Peter Sarsgaard), è ben lieto di far passare per omicida il protetto del suo rivale Raymond Horgan (Bill Camp).
Rispetto all’originale, questa versione di Presunto innocente attualizza la storia e srotola un tessuto più ampio di indizi compromettenti e piste alternative, ripulendola anche dai misoginismi che rivelavano l’età del film. (Guai a turbare troppo l’animo degli spettatori, benché al confronto la realtà sia tutt’altro che progredita). Rusty si addentra in un processo complicato che espone ai media le ossessioni, i nervi fragili, le scorciatoie poco legali che ha a lungo nascosto dietro la sua faccia pulita. Nel frattempo, cerca una verità che lo scagioni e tenta di tenersi in equilibrio tra il ricordo intrusivo di Carolyn e il bisogno di non perdere i pezzi già fragili del suo rapporto con la moglie (Ruth Negga), una gallerista ambigua e consumata dall’istinto a perdonare.

L’unica vera macchia di cui forse si può imputare Kelley è la scelta di sbilanciare la trama sulla componente familiare. Moltissimi sono i minuti spesi ad aggirarsi nell’intimo dei personaggi, ad abbassare l’intensità del giallo per osservare il lato disfunzionale che le relazioni camuffano, a capire come si possa amare e al tempo stesso farsi del male. Solo con Big Little Lies però gli era riuscito benissimo, mentre i tentativi venuti dopo hanno prodotto personaggi molto più spesso irritanti che complessi.
Il Rusty Sabich di Presunto innocente non è da meno: al pari delle pedine che lo circondano, non riesce mai a generare quell’empatia necessaria a far preoccupare per le sue sorti. Ma non è del tutto un male. Con l’aiuto di Gyllenhall, diventa un narratore piacevolmente meno affidabile di quanto non lo fosse in mano alla bonarietà di Harrison Ford. Rusty piange e si dispera, ma va’ a sapere se l’eroica impresa di salvare sé stesso non alimenti più il suo ego che il senso di colpa. E quando la serie riprende l’intreccio di sotterfugi politici, arringhe e sgambetti giudiziari, s’inizia davvero a sentirsi stimolati (prima ancora che scrittore, d’altronde, Turow è stato un avvocato: la sua specialità sono i romanzi a tema legale).
Bisogna giusto mettere piede oltre la metà degli episodi, ma arrivarci non dovrebbe risultare difficile. Con il tocco telenovelico che gli appartiene, Kelley ha mantenuto intatta l’abitudine di collocare rivelazioni via via più stuzzicanti sul finire di episodio. Ancora una volta, lo sceneggiatore americano potrebbe attrarvi davanti alla tv un giorno alla settimana, curiosi di vedere lo sviluppo successivo. In assenza di rivali, Presunto innocente è buon thriller per questa estate che tarda ad arrivare. La lentezza vi rende pure fortunati: la sottoscritta ha potuto vedere già tutto, ma per il finale le tocca aspettare un altro mese.
“Presunto innocente” esce il 12 giugno su Apple TV+ ed è composta da 8 episodi lunghi 41-46 minuti. I primi due sono disponibili da subito.
Guarda il trailerFoto di copertina: Apple TV+