I Tonfi e Trionfi dell’estate 2018
Estate. Letargo del piccolo schermo. Risveglio della replica selvaggia. Tempo dello zapping compulsivo da un canale all’altro, in cerca di programmi discretamente interessanti su cui posare gli occhi.
Nella consueta desertificazione dei palinsesti, però, quest’anno si è vista spuntare un’oasi più che rigogliosa. Tutta seriale. Folta di novità. E (stupore!) ben emancipata dallo strapotere dei servizi streaming.
La scommessa più grande è riuscita a vincerla senza dubbio Rai 1, che (per lungimiranza o semplice fortuna non è dato sapersi) ha dimostrato quanto anche la “bassa stagione” della tv possa catalizzare l’attenzione. L’approdo di The Good Doctor è stato un’apparizione salvifica nel nulla televisivo dominato da Temptation Island, peraltro costretto a fuggire dagli ottimi ascolti del medical, facendo slittare nientemeno che l’appuntamento finale.
Insieme a Patrick Melrose, il Dr. Shaun Murphy ha aperto le danze di una stagione impegnata a esplorare, con precisione sempre maggiore, la mente di personaggi inesorabilmente stritolati dai propri fantasmi familiari. In alcuni casi, ricorrendo a qualche suggestivo tocco horror e promettendo, con il prossimo sbarco sui teleschermi italiani, di arricchire un autunno già degno di nota.
Non tutte le uscite, ovviamente, si sono rivelate le migliori serie tv estive. Qualche giallo di richiamo ha tradito spiacevoli debolezze, la neonata sorella dei Simpson e Futurama si è scoperta poco mordace, e una comedy dagli intenti attivisti ha scatenato il putiferio.
In fondo, però, l’importante è far parlare di sé seriofili e non. E allora, ecco tutti i titoli che si sono meritati un posto nella lista del meglio e del peggio di questa estate 2018, come appaganti trionfi oppure insipidi tonfi.
Le migliori e le peggiori serie tv della stagione
Trionfi: The Good Doctor
Difficile per una serie tv lineare e dai meccanismi ormai arciconsunti finire tra le migliori. Eppure, il medical genuino di ABC e successo estivo di Rai 1 è proposta che alla tv generalista mancava ormai da anni. Per restituire un titolo che – scommessa lanciata – profumasse di sana longevità, ci sono voluti la penna di David Shore (Dr. House) e il talento di Freddie Highmore. Infatti, le sfide umane e professionali del chirurgo autistico Shaun Murphy valgono da sè la visione.
Tonfi: The Generi
Calamita ad hoc per i più giovani spettatori di Sky, The Generi affligge certo di nostalgia i millennials più cresciuti. Malinconia, però, del Maccio Capatonda degli esordi. Quello di Mai dire…, dei trailer alla Liegibastonliegi, dei personaggi alla Mariottide. Quello, insomma, che nella comedy surreale presa a parodiare gli stereotipi cinematografici si rivede soltanto in qualche sparuto episodio. Troppo poco. E allora non resta che tornare su YouTube.
Trionfi: Succession
La prima uscita estiva di HBO sbircia tra le gioie (poche) e i dolori (assai) dei Roy, dinastia murdochiana il cui capostipite dagli scrupoli nulli getta ombra sulle inquietudini dei quattro figli. Drama non troppo serioso, che ha avuto bisogno di qualche episodio di rodaggio – causa eccessiva attenzione sul versante economico più che su quello mediale – per farsi spazio tra le serie tv migliori. Nell’accelerata verso il finale, però, ripaga ogni goccia di fiducia .
Tonfi: Who Is America?
Per mostrare chi (non cosa) sia l’America dell’era Trump, Sasha Baron Cohen cambia volto ogni cinque minuti e si burla di individui più o meno noti, forzando ogni situazione fino al paradosso. Il risultato ride delle contraddizioni di una società in crisi d’identità, persuasa dalla promessa di risonanza mediatica a falsare in fretta la forza degli ideali politici e culturali. Diversi sketch, però, si affidano a espedienti fin troppo semplici per gli standard del comico, perdendo di humour e mordacia.
Trionfi: Patrick Melrose
L’adattamento seriale del ciclo narrativo di Edward St Aubyn non può che identificarsi nel suo bene più prezioso: Benedict Cumberbatch. Non una novità, certo. Ma il viaggio in cinque episodi – uno per ogni romanzo – tra le euforie e le ricadute di un dandy moderno si delinea sulle movenze schizofreniche del suo protagonista. Il racconto danza sulle manie, le dipendenze, gli sprazzi di calma lucidità di questo Sherlock novello in fuga dai demoni dell’infanzia. Frenetico, elegante e borderline quanto basta.
Tonfi: Deadwind
Il macabro ritrovamento che mette in moto questo crime tedesco-finlandese su Netflix è un calco esatto dell’incipit di Twin Peaks. Peccato solo che il lento snodarsi dei successivi undici episodi resti un passo indietro rispetto agli ottimi precedenti della serialità noir nordica. Se non altro, a seguire le indagini della squadra omicidi della nevosa Helsinki, è parsa per un attimo attutirsi l’afa estiva.
Trionfi: Sharp Objects
La mano di Jean Marc Vallèe si riconosce, specie per i flash che lampeggiano nevrotici tra realtà e immaginazione, passato e presente. Proprio come in Big Little Lies. Solo, con qualche sottile venatura horror. La miniserie HBO narra di omicidi raccapriccianti, di figlie interrotte, di una madre ingombrante. E lo fa chiudendosi in un feudo rurale dall’atmosfera umida e soffocante, che tutto intorpidisce. Elogio alla lentezza (non da tutti apprezzato), in una ragnatela di sentimenti devianti.
Tonfi: The Sinner
Nuova stagione, nuovi volti, nuovi misteri. Questa volta, il thriller antologico ruota attorno a un ragazzino reo di duplice omicidio e ai segreti di una setta. Ma una buona struttura e interpreti impeccabili non bastano a colmare le stesse debolezze del capitolo precedente: un incedere tanto lento da rendere statico l’evolvere dei personaggi. Le inconsce ragioni del “peccatore” di turno perdono così di attrattiva e si finisce ancora per lasciarsi affascinare dall’unico valore aggiunto dell’intera serie, il detective Ambrose.
Trionfi: Castle Rock
Il mondo narrativo ispirato dai romanzi di Stephen King incute inquietudine. Pochi orrori si vedono, ma di tutto ci si aspetta. Le anime che lo abitano celano infatti istinti oscuri che neppure sanno appartenergli, condannate a guardarsi dalle spietate suggestioni della propria mente. L’horror psicologico omaggia il maestro ma si sfila dalla sua ombra, guadagnando crescente vita propria. Quasi per paradosso, però, l’episodio capolavoro è forse il meno sovrannaturale. Pagina sette, viaggio vorticoso negli spaventosi meandri dell’Alzheimer.
Tonfi: Disincanto
Della “trilogia” di Matt Groening, il nuovo fantasy medioevale è senza alcun dubbio l’anello debole. Incantevole (e inconfondibile) per grafica, il regno arroccato di Dreamland è soltanto il ricordo sbiadito dell’acume umoristico che pervade Springfield e New New York. Sarà la sua eroina, incarnante ogni convenzione dell’anticonvenzionale, oppure un brodo di episodi fin troppo allungato, ma l’unico elemento dilettevole è la ricerca degli omaggi nascosti ai precedenti successi di Groening.
Trionfi: Bodyguard
In teoria, nulla di nuovo sul fronte seriale. In pratica, un intreccio nel quale rimanere invischiati. Il mini-thriller politico di BBC – che vede un veterano tormentato dai traumi di guerra proteggere una ministra cavalcante la strategia del terrore – vanta una scrittura esemplare nel velare l’ambiguo di prevedibilità. Così, pur indovinando le azioni, fin dal prologo si rimane interdetti (e attratti) sulle enigmatiche reazioni. Il suo biglietto da visita è una sequenza di 20 minuti da manuale.
Trionfi: Insatiable
Discussioni, petizioni e contropetizioni è quel che ha raccolto l’ultima poppeggiante high school comedy di Netflix, bersagliatissima per i toni forti (ma non irreali) sul fat-shaming. Il che non ne costituisce comunque il principale neo, vista la più totale vacuità di senso dell’intera serie. Un caotico concentrato di cliché al seguito di un’adolescente non più obesa e di un avvocato con la passione per i concorsi di bellezza, suo mentore.
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