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A “Lezioni di chimica” manca un ingrediente speciale

Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione si basa su tutti gli otto episodi di “Lezioni di chimica”.

Di serie davvero uguali ai libri da cui sono tratte ce ne sono poche. Ogni medium ha il suo linguaggio, e in quanto tale bisogna aggiustare la formula per farla funzionare. Quella di Lezioni di chimica era però già quasi pronta. C’era solo da trovare qualcuno che desse un volto – bellissimo e austero, secondo la descrizione su carta – alla sua scienziata protagonista. E invece, dopo averlo individuato nei lineamenti delicati di Brie Larson, la versione televisiva di Apple TV+ ha malauguratamente pensato fosse una buona idea ritoccare tutto il resto.

Pubblicato poco più di un anno fa da Bonnie Garmus – una copywriter californiana più che sessantenne – Lezioni di chimica è uno di quei libri che incassano ripetuti rifiuti dalle case editrici, finché non diventano materiale conteso dai produttori ancor prima di giungere in libreria. D’altronde, la sua storia leggera, e un pizzico lacrimevole, di discriminazione e rivalsa femminile si presta bene ai gusti di questi tempi sempre in cerca di messaggi facili da digerire.

A far girare pagina a ritmo spedito è la vita di Elizabeth Zott, una giovane donna d’aspetto ben superiore ai canoni di grazia femminile richiesti dall’America degli anni Cinquanta. A Elizabeth, però, non interessa trovar marito, ma solo il processo di origine della vita, per riscattare un dottorato da chimica ingiustamente mai ottenuto. La sua mente pragmatica, solitaria, priva di filtri, è quasi aliena per l’epoca in cui vive; e applica la logica scientifica a tutto, dai pasti che si prepara alle elucubrazioni con cui si disfa dei maschilismi che la colpiscono con puntualità giornaliera, lasciando interdetti i suoi interlocutori. L’unico a farsene affascinare è Calvin Elvans, un genio promesso al Nobel altrettanto inatto alla socievolezza. Il loro incontro è elettrico, impacciato, e genera un’intesa di lavoro e sentimenti che include un cane spugnoso di nome Seiemezza e il desiderio di un futuro di coppia cui non avevano mai pensato.

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Apple TV+

Nel portare su schermo questa prima parte romantica, la serie è di un calore coinvolgente. Forse anche perché Brie Larson (che figura anche come produttrice esecutiva) e Lewis Pullman (la somiglianza fisica e di talento con il padre Bill, che era l’unica ragione per cui vedere The Sinner, è disarmante) interagiscono con un’armonia eccezionale. Ma la vita, oltre che sceneggiatrice, è alquanto stronza, e le ci vuole un attimo per separare le due strade. Elizabeth si trova di nuovo sola, viene licenziata, cade nel buco più nero in cui sia mai finita. Ed è qui che Lezioni di chimica inizia ad annaspare.

Per quanto la storia di Garmus proceda per femminismi semplici e svolte debolmente costruite, la forza del libro sta quasi tutta in un unico elemento: l’intrecciarsi di legami perfetti, attraverso cui ciascun personaggio scopre di non essere solo e di poter essere anche altro da come si era sempre pensato. Come quello con Harriet, una vicina di casa cinquantenne dall’acutezza provvidenziale e in cerca di una via di fuga dalle oppressioni del marito. Come quello con Walter, un produttore televisivo divorziato e ansiato tanto dalla paternità quanto dalla necessità di tappare un buco di palinsesto rimasto vuoto. O come quelli molecolari delle ricette che, qualche anno dopo, Elizabeth accetta di divulgare dallo studio del suo atipico programma di cucina, Cena alle sei, mentre dispensa rivoluzionarie pillole di emancipazione alle casalinghe americane.

Questi legami, la serie preferisce spezzarli, o forse fatica a metterli insieme, finendo per separare le varie componenti del racconto. Le tachicardiche dirette televisive boicottate dalla rettitudine scientifica della protagonista («Questa zuppa in scatola vi farà risparmiare tempo: datela spesso ai vostri cari, e moriranno, così non dovrete dar loro da mangiare» dice gettando nell’immondizia lo sponsor di puntata), il fastidio degli uomini che si fanno sempre più minacciosi, la cattiveria delle colleghe che pian pian diventano solidali, il ficcanasare della figlia – più acuta e socialmente inatta di lei – in un segreto sepolto da decenni, vengono presi, lasciati e poi ripresi a singhiozzo. Come se a cercare di unirli tutti ce ne fosse sempre qualcuno che sfugge dalle mani.

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Così ci rimette anche l’umorismo sobrio del racconto, che si pensava Lee Eisenberg (uno abituato a passare daThe Office a Little America) potesse esaltare. E ci rimettono anche i personaggi, un po’ meno tridimensionali, alcuni ammorbiditi e altri addirittura cambiati per favorire la drammaticità del messaggio sociale. (Harriet diventa una giovane donna nera dalla famiglia perfetta, in prima linea per i diritti del suo quartiere afroamericano, parecchio incline al monologo ispirato). Al punto da far venire il dubbio che, senza aver letto il libro, sia difficile cogliere perché ognuno sia così esattamente funzionale all’evoluzione degli altri.

Certo, Lezioni di chimica è bella: non c’è un’inquadratura che non abbia un’estetica incantevole. E Larson è magnetica, con la sua corazza di tecnicismi impronunciabili che emette soffice e impassibile, complicando anche le situazioni più normali. Non abbastanza, però, da convincere che non avrebbe potuto essere ancora più bella e sfiziosa di com’è.

Ispirata dal significato della sua stessa storia, la versione televisiva si è forse convinta che tutto – come nella chimica, come nella vita – si possa trasformare. Ma senza i suoi elementi originali, la formula funziona poco. Nemmeno Garmus, tenuta lontana dalla produzione dai tour promozionali del suo libro, ne è sembrata convintissima. Il prossimo adattamento, ha detto, preferirebbe scriverlo lei.

“Lezioni di chimica” è su Apple TV+ ed è composta da 8 episodi lunghi 4251 minuti. I primi due episodi sono già disponibili, poi uno alla settimana. Il primo si può vedere gratis.

Guarda il trailer

Immagine di copertina: Apple

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