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La serie tv su Roberto Calvi non sembra un true crime

Piccola postilla prima di iniziare: questa recensione di si basa su tutti i quattro episodi di “L’assassinio del banchiere di Dio”.

Se il 18 giugno del 1982 foste passati dal Blackfriars Bridge, uno dei diversi ponti londinesi che collegano le due sponde del Tamigi, vi sareste imbattuti in una folla di teste e giacche intenta a sporgersi dai parapetti. Lì sotto, appeso a un’impalcatura, pendeva il corpo senza vita di Roberto Calvi, un noto banchiere italiano la cui morte è uno dei più grandi intrighi internazionali irrisolti e anche un gran casino.

Questo intrigo ha provato a ricostruirlo L’assassinio del banchiere di Dio (Muder of God’s Banker, è il titolo originale), una docuserie britannica in quattro parti che, molto in silenzio, si è appena depositata sul catalogo di Paramount Plus e per come è fatta non sembra nemmeno un true crime.

L’intero copione (perché qui un copione c’è) ruota attorno a un’unica, insolita domanda: «Chi non ha ucciso Roberto Calvi?». La lista delle figure avverse a Calvi era infatti così lunga e ampia, che ognuna di esse avrebbe avuto buone ragioni per commetterne l’omicidio. Ma soprattutto, la lista delle figure avverse a Calvi era l’insieme delle più potenti organizzazioni che nelle altre storie criminali fanno le cattive da sole: il Vaticano, la Mafia, la loggia massonica P2 e una manciata di altri politici e banchieri invischiati in faccende piuttosto losche.

L’assassinio del banchiere di Dio ne affigge tutti i volti su una lavagna di sughero e poi li collega all’immagine centrale dell’assassinato con un filo rosso che scandisce le tappe della serie: prima la biografia di Calvi, l’infanzia in una famiglia borghese con poche ambizioni e l’ascesa – per senso di rivalsa – alla presidenza del Banco Ambrosiano, poi la fame di potere, la vicinanza a papi e altri frequentatori vaticani, i traffici poco puliti e uno scandalo finanziario (la parte più noiosa) che lo portò ad affidarsi a persone ancor meno pulite.

Rapida e asciutta, L’assassinio del banchiere di Dio racconta ogni passaggio con un collage visivo di generi che difficilmente ai true crime riesce così bene. La storia di Calvi è fatta di foto e video d’archivio, filmati che sullo sfondo portano avanti la storia d’Italia per spiegarla ai non italiani, interviste a esperti immersi in una penombra dai toni rossi. Poi però la serie diventa un crime fumoso con attori in carne e ossa, una commedia criminale dove posti e persone vengono introdotti con scritte cubitali e musiche baldanzose, e poi ancora una graphic novel in movimento dalla cupezza avvolgente.

Perché d’altronde, fosse stato un personaggio immaginario, il «banchiere di Dio» sarebbe stato l’antieroe perfetto di un intrigante noir televisivo dal titolo già pronto (Calvi era solitario, poco portato per le relazioni sociali, e aveva l’aspetto di un Perry Mason coi baffi). E tale è la forma che questa serie ha voluto dare alla sua storia. Senza far finta, per una volta, che il true crime non sia intrattenimento.

“L’assassinio del banchiere di Dio” è disponibile su Paramount Plus ed è composta da 4 episodi lunghi 43-51 minuti.

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