Cosa ricordare dei Golden Globe 2018
Sarà forse l’attitudine del mestiere oppure l’ebbrezza del momento solenne, ma la award season hollywoodiana riesce spesso a far parlare di sé per il rincorrersi di sproloqui idealisti, più che per l’effettiva spartizione dei premi. Abilissima, come solo oltreoceano può accadere, a plasmare il più caldo tema politico o sociale in soliloquio retorico da standing ovation. Bisogna ammettere, però, che la 75° edizione dei Golden Globe – in onda la scorsa domenica notte – godeva già in partenza di un’attenzione particolare.
Questa volta, infatti, gli occhi (in buona parte assonnati) di mezzo mondo si sono posati sul Beverly Hilton Hotel per vedere come Hollywood avrebbe gestito il passaggio dalla rivolta al nemico trumpiano alla scoperta di un mostro anche più ingombrante all’interno del suo stesso sistema. Si parla del caso Weinstein, of course, dello stormo di molestie perpetrate per sport da qualche potente, e del silenzio che per lungo tempo lo ha avvolto e protetto.
Patata bollente lasciata cadere da NBC nelle mani di Seth Meyers, per la prima volta alla conduzione della cerimonia. Per trattarsi di un debutto, il padrone di casa del Late Night non se l’è cavata affatto male, muovendo i fili di una diretta che ha avuto molti più motivi per farsi ricordare rispetto alle precedenti, ma anche diversi momenti da archiviare senza troppi convenevoli.
Le cosa da ricordare
Il “black carpet”
Partiamo dall’inizio, e cioè dal vero accalappiatore annuale di giudizi, il red carpet, che pur mantenendosi tale, ha visto sfilare soltanto sagome nere. La neonata associazione Time’s Up ha infatti “caldamente suggerito” il dress code, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema molestie e disparità di genere. “Difficile sbagliare in nero”, ha cinguettato qualche voce maliziosa, ma l’iniziativa ha tutto sommato ottenuto l’effetto desiderato. Discorsi quasi nulli sugli abiti delle dive (almeno sul tappeto rosso), stavolta interpellate su questioni solide. Fatta eccezione per qualche sgarro istrionico di routine (soltanto la presidente della Hollywood Foreign Press Association aveva validi motivi per concederselo), il “black carpet” è senza dubbio la ragione per cui questi Gloden Globe si faranno ricordare.
Il monologo astuto di Seth Meyers
Se rapportato agli Oscar, il ruolo di conduttore dei Golden Globe è decisamente più ristretto: un lungo monologo iniziale e poche battute tra un premio e l’altro. Più difficile quindi lasciare il segno. Il compito di Seth Meyers era poi ancora più ostico, visti i fantasmi che aleggiavano sull’edizione. Meyers è tuttavia riuscito a gestirli con astuzia, senza inseguire gli effetti speciali del predecessore Jimmy Fallon, per puntare invece su una comicità genuina ma affilata. “Buonasera signore e pochi uomini rimasti”, ha esordito, prima di lanciare staffilate ai grandi esclusi con l’aiuto delle dive in sala, coinvolgendole nel suo “Jokes Seth Cant’ Tell”. Furba, inoltre, la scelta di giustificarsi come conduttore di ripiego, in un’edizione che i più avrebbero affidato a una donna. Uno sguardo infine ai temi caldi degli anni passati – da Trump alla discriminazione razziale – ed ecco volare i 12 minuti di un’apertura semplice e concreta.
L’indomita rivoluzione delle dive (guidata da Oprah Natalie Portman)
Partita dal “black carpet”, la rivolta femminile è l’altro grande motivo per cui ricordare questi 75esimi Golden Globe. Le dive hanno travolto selvagge il corso della cerimonia, riponendo bricioli di grazia sotto le proprie sedie, per sfoderare artigli, lacrime (vere?) e tanta rabbia. Gli schiamazzi di reciproco sostegno hanno comunque raggiunto decibel massimi con il discorso di Oprah Winfrey – prima donna afroamericana a ricevere il premio Cecil B. DeMille. Un capolavoro di oratoria che ha fatto gridare alla candidatura presidenziale, ma ha soprattutto marcato la distanza definitiva dalle emulazioni di un’illuminata conduttrice nostrana. Al femminismo urlato, però, Natalie Portman ha dato una lezione ben più significativa. “Ed ecco i nominati, tutti uomini” ha scandito con sorriso beffardo per rimarcare l’assenza di donne tra i migliori registi. Caustica, ironica e tanto subliminale da stordire ogni reazione senza smorzare la risonanza del messaggio.
Serie tv vs. cinema: partita vinta?
Non si tratta di un duello, certo. Ma in questa edizione è parso quasi che la serialità abbia avuto maggior peso e attenzione rispetto ai premi cinematografici. Titoli di richiamo più contenuto sul fronte del grande schermo hanno infatti consentito alle serie mainstream di spiccare liberamente. Senza considerare poi lo strettissimo legame di molte trame con la causa sostenuta da Time’s Up. D’altronde, già soltanto Big Little Lies – trionfante con quattro Golden Globe – è il modello per eccellenza della strada imboccata dal racconto televisivo ormai da qualche tempo. Luogo propizio per la sperimentazione di forme narrative sempre differenti, attraverso cui rilanciare con nuove sfide le più disparate carriere filmiche.
Le cose da dimenticare
La diretta a singhiozzo
Per chi è abituato alla sfinente maratona degli Oscar, si sa, i Golden Globe sono un gioco da ragazzi. Preludio alla cerimonia più prestigiosa, ma dal clima decisamente più leggero. La diretta di domenica ha tuttavia singhiozzato non poco. Spedita con il susseguirsi dei primi premi, ha subìto un rallentamento soporifero, per poi ripartire rapidissima, fino a concludersi con un’interminabile mezz’ora. Il che, perlomeno, ha sortito qualche effetto spassoso dovuto alle difficoltà di alcuni presentatori prescelti a inseguirne le impennate. Per il resto, il 75° anniversario non sarà certo da ricordare per leggerezza e goliardia. Il che inquieta, in vista della notte del 4 marzo.
Il red carpet in coppia
Se tra dress code funereo, spillette e declamazioni il messaggio non fosse stato già abbastanza chiaro, qualche star ha deciso di dare ulteriore spessore alla propria presenza. Alcune attrici sono arrivate in coppia, facendosi affiancare da diverse attiviste operanti su molteplici fronti (il New York Times si è premurato di presentarle qui). L’intento di estendere l’eco della causa dalla lotta alla violenza sulle donne a ogni tipologia di discriminazione femminile, però, è finito per scivolare tra le note stonate della serata. La passeggiata sul red carpet è infatti parsa quasi una forzata messa in mostra di ospiti non hollywoodiani dal pedigree raro.
La ruota gira per tutti, specialmente a Hollywood
Inutile rimarcare quanto l’uragano Harvey si sia abbattuto su ogni carriera, mettendola in discussione. Quali volti hanno chiuso un occhio (o forse due)? Chi ha ceduto ai compromessi? Come si può collaborare con rinomati orchi e poi battersi per la causa che li inchioda? Ebbene, osservata speciale della serata è stata Meryl Streep, più leziosa del solito nell’ostentarsi serena dopo le accuse di omertà sui vizi di Weinstein. Rumor che hanno infiacchito gli applausi alla dea della award season, giusto un anno fa acclamatissima per un’infiammata arringa. D’altronde, la platea è la stessa che ha sorriso alla gogna di Kevin Spacey dopo averlo a lungo venerato. Certo non senza nervosismo, nella speranza che il prossimo turno tocchi al vicino. Triste simbolo di come la ruota di Hollywood giri ancor più vorticosa di questi tempi. “Ti sei affidato al governo della fortuna” tuonava Boezio “devi sottostare agli umori della tua padrona”.
Il taciturno confinamento maschile
Se infine c’è un elemento che non rimarrà impresso nella memoria dei Golden Globe 2018, è senza dubbio la partecipazione maschile. Oppure, la 75a edizione potrebbe farsi ricordare proprio per il silenzio degli uomini presenti, in tutti i sensi. Fatta eccezione per il padrone di casa, i divi sono stati travolti dall’impeto rivoluzionario delle colleghe, vedendosi confinare a semplici comparse dotate di applauso. Fatto più che apprezzabile, dopo decenni di tronfio narcisismo virile. Non fosse che, in questo farsi da parte e ammutolirsi, si annidi un fattore allarmante. Nessuno (o quasi) si è speso a supporto di Time’s Up. Nemmeno Alexander Skarsgård, che ha completato il poker di Big Little Lies, vestendo i panni di un marito violento. E, per quanto la voce femminile possa acquisire forza, è difficile immaginare cambiamenti concreti senza una presa di coscienza anche da parte del sesso opposto.