‘El Camino’ e il senso completo di ‘Breaking Bad’
Ci vuole una buona dose di sospensione dell’incredulità, per seguire la storia di El Camino. Tra il finale di Breaking Bad e gli eventi del film Netflix che ne prolunga di un pezzetto la trama – per mano dello stesso creatore, Vince Gilligan – non dovrebbero esser trascorsi più di cinque minuti, eppure sembrano passati dieci anni.
Nel mezzo ci sono un riepilogo ricco (ma non sufficiente a preparare chi la serie non l’ha mai vista) e la risata liberatoria di Jesse Pinkman (Aaron Paul), che è stato appena salvato dal socio-nemico Walter White (Bryan Cranston) ed è già l’uomo più ricercato d’America. Qualche mese da schiavo per una banda di sadici criminali non può assolvere infatti dall’aver cogestito “la più grande produzione di metanfetamina nella storia del paese”. Così tocca sterzare subito e rifugiarsi dagli unici amici rimasti per rivedere i propri piani.
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La prima strana evoluzione di El Camino è che Skinny Pete (Charles Baker) e Badger (Matt Jones) – il duo sballato in una serie di menti raffinate – stavolta sono assai performanti: forse anche per stupore, tacciono, riflettono e poi srotolano lo schema di fuga.
La seconda, invece, è che il Jesse frenetico dei vestiti extralarge, i “Bitch!” rabbiosi, i trip allucinogeni non c’è più. Una doccia bollente e voilà, da sudicio in stato catatonico eccolo rigenerato nel Bruce Willis di Albuquerque. Vale a dire, un classico uomo d’azione senza macchia che, cicatrici bene in vista e giubbotto da duro, ha in mente tutti i passaggi da fare per evadere dal New Mexico e far perdere le sue tracce, approfittandone per fare pure un po’ di giustizia.
La costante con il passato, però, sta tutta negli occhi. Lo sguardo di Jesse Pinkman è sempre perso, spaurito e si porta dietro il carico di sofferenze, lutti, omicidi visti e commessi, e giochi manipolatori di Walter White accumulato in cinque stagioni. E siccome Aaron Paul – ora quasi libero dall’ombra di Bryan Cranston – è piuttosto bravo a rianimarlo, l’incredulità si sospende ben volentieri per vedere se in El Camino si compia finalmente il destino che ci si sarebbe augurati per lui.
Benché non sembrasse, infatti, quella di Breaking Bad è una storia finita a metà. Quando si concluse nel 2013 con l’ultimo atto eroico (e forse l’unico davvero altruista) di Walter White – ingegnatosi oltre i limiti del credibile per salvare Jesse – non portò del tutto a termine la sua trama. Mentre Walt moriva serafico, in pace con se stesso per aver vendicato dosi massicce di frustrazioni producendo altrettante dosi di metanfetamine, Jesse sfrecciava certo verso una libertà fisica, ma non necessariamente sgombra di fantasmi.
(Ri)guarda la scena finale di Breaking Bad qui
Solo, di questo pezzo mancante non ci si è mai curati granché. Difficilmente si è considerato Jesse Pinkman l’altro (e non il vice) protagonista della serie, come difficilmente si è considerata Breaking Bad la storia di due (e non una sola) trasformazioni.
C’è Walter White, il povero professore malato terminale costretto a produrre droga per lasciare più soldi possibili alla famiglia. E c’è Jesse Pinkman, l’ex studente sfaccendato dedito allo spaccio occasionale per guadagnare spiccioli da reinvestire in fumo. L’eroe e l’antieroe, insomma. Almeno fin quando, incrociandosi, le loro vite s’invertono di direzione: per Walt inizia la metamorfosi in criminale ripugnante, per Jesse invece una dolorosa presa di coscienza.
Questa dinamica è ciò che ha fatto di Breaking Bad una serie progressivamente rivoluzionaria, che resta tale anche a dieci anni di distanza. Perché di rado ci si ritrova a mettere in discussione i propri principi, detestando un docile protagonista vessato da chiunque e affezionandosi al suo opposto arrogante con la faccia da schiaffi. E ancor più di rado sui teleschermi si raccontano trasformazioni molto lineari da A a B e da B ad A. In genere, l’antieroe è un tipo moralmente corrotto con ideali moralmente corretti, non di certo un estremo da raggiungere o abbandonare.
Il cammino di Jesse è da manuale di sceneggiatura: si addentra con qualche resistenza in una sequela di peripezie fino a toccare il fondo, per poi crescere e poter risolvere per sempre i propri fantasmi. Quest’ultimo è il pezzo che El Camino aggiunge. Lo fa in due ore, con una sequenza abbastanza frammentaria di azione nel presente e ritorni al passato, fatti di spezzoni che sembrano ritagliati da vecchi noti episodi e in cui ricompaiono i personaggi (quelli che meno ci si aspettava di rivedere, peraltro) in un modo o nell’altro fondamentali per il suo sviluppo morale.
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Alla maniera di Vince Gilligan – e cioè mettendo in moto la nostalgia degli affezionati con simboli ricorrenti ma silenziosi – si susseguono allora uno dopo l’altro il mentore Mike (Jonathan Banks), il carceriere sadico-ingenuo Todd (Jesse Plemons), il venditore di nuove identità Ed (Robert Forster), l’anima gemella Jane (Krysten Ritter, unica presenza femminile nel film) e pure Walter White. “Sei fortunato, sai? Non hai dovuto aspettare una vita per fare qualcosa di speciale” dice al socio in un flashback che nella linea temporale della serie si colloca nell’episodio 4 giorni fuori (Stagione 2).
Chisseneimporta quindi se la maturazione è troppo celere, se le prodezze poco reali procedono al rallentatore (come in un normale episodio della serie, in fondo) e se molti volti sono nel frattempo troppo cambiati per poter credere che siano passati solo cinque minuti.
L’elemento più importante di El Camino è l’evoluzione, la rivelazione.
Jesse Pinkman ora può davvero liberarsi dai fantasmi del passato.
Jesse Pinkman è sempre stato l’eroe puro di Breaking Bad.
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