Tre racconti, una linea temporale: storia della moderna crisi identitaria e culturale
Curioso come un giorno senza pretese possa sotto sotto arricchirsi di significato. Anziché asservirsi a lenire i postumi di un 8 marzo da anni mai così intenso, venerdì 9 marzo è riuscito questa volta a emanciparsi. Con l’aiutino, manco a dirlo, di qualche servizio streaming dall’intraprendenza onnipresente. Sui cataloghi dei soliti Netflix e Amazon hanno fatto capolino tre titoli con poco da spartire, ma in realtà annebbiati dalla stessa foschia. Quella, cioè, che con l’affacciarsi del nuovo millennio ha preso a infittirsi dal cielo occidentale fino a quello mediorientale, levandosi rapida da due torri fumanti. Quella, per intenderci, che pervade le vicende di The Looming Tower e Collateral, e di cui si percepiscono le tracce anche nei ricordi di Malala Yousafzai, ospite di David Letterman nel suo Non c’è bisogno di presentazioni.
Racconti che, pur diversi, si collocano su di una stessa linea temporale, punteggiando quasi diciassette anni di involuzione dello spirito del tempo. Un percorso verso l’attuale crisi identitaria e culturale, fatto di espedienti narrativi somiglianti, votati alla brevità e alla forza evocativa del realismo delle immagini.
Il primo capo di tale filo lo appunta The Looming Tower, fissandosi sulla porzione di mappa più occidentale. La miniserie Hulu – con distribuzione internazionale su Prime Video – torna all’11 settembre 2001, per focalizzarsi sulle dinamiche che hanno portato alla scia di attentati forse più grave della storia contemporanea, specie perché segno di un brusco cambio di rotta. Il suo cuore è il cortocircuito informativo nella collaborazione preventiva tra FBI e CIA (accusata di aver tenuto per sé qualche scoperta di troppo). Ma la storia si spinge ben oltre.
Ispirandosi all’omonimo romanzo di Lawrence Wright, il lavoro investigativo capitanato da John O’ Neill (poi rimasto ucciso nell’attacco alle Torri Gemelle) non è infatti che un pretesto per guardare alla parallela ascesa di Bin Laden, alle vite di chi ha colpito ed è stato colpito, all’eco xenofobico e allo smarrimento di chi, come l’agente Ali Soufan, si trova diviso tra le radici musulmane e la cultura che lo ha accolto. Nel farlo, i dieci episodi si prendono tutto il tempo necessario. La finzione drammatica elevata da Jeff Daniels si mescola fluida al tocco documentaristico delle immagini d’archivio (dagli attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania all’intervista di John Miller al leader di al-Qaeda). Pur cedendo spesso al narcisismo della nazione interventista, The Looming Tower restituisce così un po’ dell’umanità nascosta dietro l’evento storico che ha svelato la vulnerabilità statunitense, allungando la sua ombra sul territorio europeo.
Il brusco risveglio del Vecchio Continente è quindi l’altro capo del filo, dove si incontra Collateral. Il breve crime britannico mostra l’Europa di oggi, che con oltre dieci anni di ritardo ha iniziato a provare sulla propria pelle le conseguenze di una guerra da cui si era finta esente. L’incipit è il “normale” omicidio di un ragazzo che consegna pizza; il vero evento scatenante è la scoperta che si tratta di un immigrato. Da qui affiora infatti il quadro di scontro razziale, stenti economici, gioco retorico della politica, alla base della crisi identitaria e culturale di un paese.
Anziché seguire i canoni del procedural, si utilizza lo sguardo dell’ispettrice Kip Glaspie (la ruvida Carey Mulligan) per tracciare soltanto le linee di collegamento tra le figure coinvolte in una delle tante tratte di migranti. Al contrario di The Looming Tower, però, si ricorre qui a immagini non reali, ma profondamente realistiche. C’è l’orrore dei viaggi della speranza, la paura di non ottenere asilo politico, l’apatia dei centri di accoglienza, il terrore di vedersi rispediti in patria, seppur cresciuti altrove, per semplici disattenzioni burocratiche. Ma soprattutto, c’è l’accordo tra i piani alti della società e la malavita che, sull’altra sponda del Mediterraneo, vende a caro prezzo false illusioni.
Collateral racconta insomma gli strascichi del crollo delle Torri Gemelle, che ha rimesso in moto la storia arrivando a opprimere non solo il mondo occidentale. Lo dicono chiaro e tondo le memorie di Malala, sintesi perfetta di questa linea temporale. Perché l’11 settembre – riattivando la propaganda jihadista – ha sconvolto anche il suo, di mondo. E perché soltanto quando costretta ad abbandonarlo, questa ragazzina premio Nobel si è scoperta rifugiata.
Proprio qui si concentra David Letterman, nella migliore delle tre interviste di finora rilasciate da Non c’è bisogno di presentazioni. Il talk di Netflix ritrae una Malala spoglia da idealizzazioni. Una semplice studentessa pakistana appena approdata a Oxford, che ama il cricket e snobba la pizza, odia il freddo londinese e sogna di rivedere i fiumi dello Swat. E che, quando giunge il turno della politica e del terrorismo, si limita all’osservazione più innocente ma concreta: “Preoccupa che i leader parlino di eliminare l’estremismo e la povertà, ma ignorino l’istruzione. È la prima cosa da fare”.
Chapeau.