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Mediaset Infinity

Mediaset Infinity si divide in due parti: una gratutita e una a pagamento. In quella gratuita si trovano perlopiù programmi e serie tv in onda sui canali Mediaset, vecchie fiction (da Fantaghirò a Distretto di polizia), ma anche cartoni animati, qualche film e la serie di documentari BBC Planeth Earth. La parte a pagamento si chiama invece Infinity Plus e offre un catalogo più sostanzioso: ci sono tutte le stagioni di Schitt’s Creek, The Good Place e Il Trono di Spade.

 

Come funziona? Tramite app, da browser e anche su Prime Video.

Quanto costa? Ai contenuti gratuiti si può accedere liberamente, ma per vederne alcuni è necessario registrarsi al sito. Per Infinity Plus bisogna invece sottoscrivere un abbonamento, scegliendo tra diverse opzioni e pacchetti (l’offerta base parte da 7,99 euro al mese). In alcuni casi è prevista una prova gratuita di 7 giorni.

 

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Retelly

«Non possiamo fare un altro semplice vigilante che picchia i rapinatori nei vicoli.»

Jeremy Slater, creatore di "Moon Knight"

Tellyst è un posto che le serie tv vorrebbe raccontarle come si deve. Ci sono recensioni, spiegoni, nuove scoperte e cose molto vecchie, guide al binge watching, frasi da segnarsi, inquadrature belle, e pure un po’ di notizie. Senza cadere nei soliti banalismi e nemmeno gasarsi troppo. Che poi tutte le serie sembrano imperdibili, e non si sa cosa scegliere.

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Il 24 giugno di dieci anni fa su HBO andava in ond Il 24 giugno di dieci anni fa su HBO andava in onda il primo episodio di "The Newsroom", una serie tv sul giornalismo che, mettendo un piede nel passato, è riuscita ad anticipare il futuro.

"The Newsroom" veniva dalla stessa mente, quella di Aaron Sorkin, che un decennio prima aveva creato la serie politica "West Wing". Ciò che accomunava entrambe era un certo patriottico idealismo. Ma - come ha spiegato il critico Gabriele Niola su BadTaste.it - mentre "West Wing" lo sviluppava a partire dall'esaltazione della buona politica americana, mettendole a capo il più idealizzato dei presidenti, "The Newsroom" si muoveva dall'estremo opposto.

Ad avviare la serie era infatti una conferenza durante la quale, a una domanda su cosa facesse dell'America il più grande paese del mondo, il giornalista televisivo Will McAvoy (Jeff Daniels) rispondeva che l'America aveva smesso di essere il più grande paese del mondo. 

Lasciatosi lo sconcerto del pubblico alle spalle, Will McAvoy faceva quindi ritorno nella redazione di ACN, la rete via cavo di news di cui era il volto principale, e da lì iniziava a fare della buona informazione lo strumento attraverso cui curare tanto la propria disillusione quanto quella del popolo americano.

Per tre stagioni, "The Newsroom" seguì i suoi personaggi nella sfida quotidiana di raccontare in maniera etica e appropriata l'attualità. Per rendere i loro dilemmi più autentici, Sorkin preferì però collocare la trama qualche anno prima rispetto al 2012. Trattando eventi reali e già accaduti, infatti, avrebbe permesso di far capire meglio la difficoltà e il peso di ogni signola scelta fatta dai suoi retti giornalisti nel riportarli.

Tra i critici americani il giornalismo idealizzato di "The Newsroom" non riscosse un successo pieno. Ma, visti oggi, i suoi episodi sembrano ancora più attuali. Un incessante e faticoso districarsi tra notizie e pareri sugli argomenti più delicati (dalla vendita di armi alla faziosità dei media, fino all'uso di armi chimiche), per cercare di capire quale sia la versione più vera.

📺 “The Newsroom” è su Sky e Now TV
⏱ 3 stagioni, 25 episodi da 52-73 minuti
Nel 2021 circa la metà degli utenti globali di Ne Nel 2021 circa la metà degli utenti globali di Netflix ha visto almeno un titolo anime presente sul catalogo della piattaforma. Sugli altri servizi streaming è accaduto pressappoco lo stesso.
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Questo dato fornisce una misura piuttosto concreta del momento fortunato che il genere anime giapponese sta vivendo. Un periodo iniziato già dieci anni fa, ma entrato nel vivo con l'inizio della pandemia: non solo quello degli anime è stato uno dei mercati meno intaccati dai lockdown pandemici, ma la richiesta dei suoi contenuti ha avuto una delle crescite più veloci. L'Hollywood Reporter l'ha definita «una delle forme di intrattenimento popolare più resistenti al Covid».
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La principale ragione di tale crescita risiede in una massiccia diffusione della cultura anime. Se fino a 10 anni fa era una passione di nicchia, oggi conta consumatori praticamente ovunque, sia in Giappone che nel resto del mondo, con un valore di mercato di circa 22,1 miliardi di dollari.
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Già da diverso tempo, i servizi streaming stanno cercando di sfruttare questo potenziale. Non solo un unico titolo anime può infatti dar vita a molteplici film e spin-off seriali, ma può generare anche fenomeni di fandom molto coriacei. Aspetto non secondario, in un momento in cui le piattaforme hanno bisogno di fidelizzare i propri utenti puntando sul senso di condivisione. Infine, gli anime sono una chiave di accesso al mercato asiatico, ormai centrale nella strategia di espansione delle piattaforme.
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La crescita del genere anime ha tuttavia sollevato qualche dubbio. Soprattutto rispetto alla capacità di creatori e disegnatori di gestire un simile aumento del carico di lavoro. Ma, secondo alcuni pareri, l'ingresso di grandi aziende, come Netflix o Disney, potrebbe portare maggiore ordine nell'industria produttiva giapponese, dove parecchi artisti sono ancora sottoposti a turni di lavoro sfiancanti e sottopagati.

🔍 Parrot Analytics/The Hollywoo Reporter

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#anime #cowboybebop #streaming #netflix
Se foste dei documentaristi, lascereste mai che i Se foste dei documentaristi, lascereste mai che i fatti raccontati nelle vostre opere vengano trasformati in finzione?

Questa domanda è uno dei principali motivi per cui si sta parlando di "The Staircase", una nuova serie tv di HBO che ha riaperto il dibattito sull'utilità dei docudrama.

Per intenderci, nel genere dei docudrama rientrano tutte quelle serie tv che ricostruiscono storie vere attenendosi perlopiù all'esattezza dei fatti, ma inserendovi anche elementi romanzati. Negli ultimi tempi se ne sono viste parecchie, soprattutto legate a vicende criminali: truffe plurimilionarie, fallimenti di baldanzose startup, intricati casi di omicidio.

Tra i docudrama più apprezzati c'è proprio "The Staircase", che si focalizza sulla lunga e nebulosa battaglia legale affrontata dallo scrittore Michael Peterson, nel 2003 incriminato per l'omicidio della moglie, la quale due anni prima era stata trovata morta in fondo alle scale della loro casa nel North Carolina. Rispetto agli altri docudrama, però, "The Staircase" ha una particolarità: in parallelo racconta come una troupe francese seguì il caso da vicino, per produrne una nota docuserie intitolata - appunto - "The Staircase" (al momento su Netflix).

Per scrivere il suo copione, la serie di HBO ha avuto libero accesso alle fonti raccolte dal documentarista Jean-Xavier de Lestrade. Il quale, tuttavia, si è lamentato di come gli eventi e i tempi della vicenda siano stati manipolati, danneggiando i reali protagonisti e soprattutto la credibilità della sua docuserie.

Non è la prima volta che un docudrama riceve simili accuse: vista la grande popolarità che ottengono, c’è chi pensa che queste serie rischino di oscurare l'effettiva verità sulle storie che raccontano. Ma secondo Antonio Campos, regista di "The Staircase", spesso le storie in questione non contengono già in partenza una verità assoluta e lo scopo dei docudrama è abituare gli spettatori all'assenza di una risoluzione completa. Inoltre, dice il documentarista Sam Pollard, «la nozione stessa che un documentario dica la verità è falsa». «Il materiale viene sempre manipolato. Sempre. La questione è fino a che punto ci si spinga».

🔍 Variety/IndieWire
Lo scorso settembre "Squid Game" è diventata una Lo scorso settembre "Squid Game" è diventata una delle serie tv di maggior successo di Netflix, grazie al racconto di un gioco piuttosto sadico, dove un gruppo di cittadini sudcoreani assai disperati affrontava alcune sfide altamente mortali. 

Ora quel gioco sta per diventare un reality show.
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Netflix ha annunciato che produrrà "Squid Game: The Challenge", un programma televisivo che ricreerà quasi esattamente il gioco visto nella serie. Ci saranno cioè 456 concorrenti che si sottoporranno a diverse sfide - alcune tratte dalla serie, altre aggiunte dal programma - per contendersi un premio in denaro che ammonta a 4,56 milioni di dollari.
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Come la struttura del gioco, anche l'obiettivo non cambia: osservare i giocatori e le dinamiche tra di essi, per capire come strategie, alleanze e  ruoli varino man mano che i compagni vengono eliminati e il gruppo si riduce.
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«Squid Game ha conquistato il mondo con la storia accattivante e l'immaginario iconico del regista Hwang», ha detto Brandon Riegg, vicepresidente delle produzioni unscripted e delle docuserie di Netflix. «Siamo grati del suo supporto nella trasformazione del mondo fittizio della serie in questa imponente competizione ed esperimento sociale».
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"Squid Game: The Challenge" sarà composta da 10 episodi e segnerà un punto importante nella storia della televisione. Si tratterà infatti del reality show con il numero di concorrenti e il premio in denaro più elevati di sempre.
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Il programma sarà prodotto nel Regno Unito dalle società Studio Lambert (nota per l'originalità delle sue produzioni) e The Garden, che sono già alla ricerca di 456 concorrenti provenienti da tutto il mondo. Unico requisito richiesto: saper parlare fluentemente l'inglese.
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🔗 Tutte le informazioni sui casting sono su SquidGameCasting.com
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🔍 Variety
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#squidgame #squidgamechallenge #netflix #realityshow #streaming
La scorsa settimana si è svolta la seconda edizio La scorsa settimana si è svolta la seconda edizione della Geeked Week, un evento virtuale che Netflix organizza ogni anno, con l’intento di celebrare la comunità di fan dei suoi film e serie tv.
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Durante l’evento, seguibile gratuitamente sulle principali piattaforme social, Netflix ha presentato novità, aggiornamenti, trailer, anteprime, approfondimenti su diversi suoi titoli già conosciuti o in arrivo nei prossimi mesi.
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Per quanto riguarda le produzioni seriali, si è parlato dei nuovi progetti diretti da Tim Burton e Guillermo Del Toro, dell'adattamento di "The Sandman", della versione live action di "One Piece" e del nuovo rompicapo televisivo dei creatori di "Dark". Ma si è parlato anche di anime, di nuove serie tv tratte da famosi videogiochi, e di videogiochi tratti da famose serie tv.
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👉🏼 Per chi non ha tempo di rivedere le dirette dell'evento, su tellyst.com è uscito un riassunto veloce, ma completo, di tutte le prossime serie tv di cui si è parlato.
🔗 Ci si arriva cliccando sul link in bio, sezione Notizie 🗞 

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#netflix #geekedweek #serietv #thesandman #wednesdayaddams #residentevil #1899 #horror #anime #fantasy
Degli intrighi e dei misfatti della monarchia brit Degli intrighi e dei misfatti della monarchia britannica pensiamo di sapere tutto, e invece sappiamo poco e niente. Nel gran tessuto di opere che l'hanno raccontata, infatti, ci sono ancora parecchi interstizi rimasti pressoché inesplorati.

Uno di questi se l'è accaparrato "Becoming Elizabeth", una nuova serie di Starz il cui slogan, «La regina che conosci. La ragazza che non conosci», contiene tutta la smania di distinguersi dalle altre narrazioni su schermo della dinastia dei Tudor. 

La regina che conosciamo - o almeno, pensiamo di conoscere - è Elisabetta I: la sovrana leggendaria dei colletti voluminosi, il viso gessato, l'Invincibile Armata, e i film pluripremiati con Helen Mirren e Cate Blanchett. Ossia tutto quel che "Becoming Elizabeth" mette da parte per guardare più indietro, al percorso fatto prima di diventare leggenda.

La serie si focalizza sul periodo immediatamente successivo alla morte di suo padre Enrico VIII. Undici anni durante i quali, esposta insieme ai fratellastri Maria ed Edoardo alle macchinazioni di una nervosa battaglia per la successione, Elisabetta dovette imparare appena adolescente a impostare la giusta strategia per puntare non alla corona, bensì alla sopravvivenza.

Non è un caso che "Becoming Elizabeth" sia uscita proprio in quest'epoca. Il principale motore della prima stagione è la riprovevole (guai a dimenticare il pedagogismo) relazione tra la 14enne Elisabetta e il suo patrigno-tutore Thomas Seymour, un seduttore con una certa abitudine a infilarsi senza invito nelle stanze altrui e poi strappare il consenso di slacciare vesti e palpare seni.

Con un poco di esagerazione (la raffinatezza non è la stessa) il Guardian ha definito "Becoming Elizabeth" una "Succession" cinquecentesca. In effetti, la sua cupa e claustrofobica corte è un campionario di figure fragili e orribili che tramano, tradiscono, nascondono segreti (anche al pubblico), e si mettono in vendita con ogni mezzo sensuale e politico al miglior offerente. Facendo dell'insicura, ma non mansueta, Elisabetta il personaggio meno interessante da seguire.

📺 “Becoming Elizabeth” è disponibile da oggi su Starzplay
⏱ 8 episodi settimanali da circa un’ora
Prima che i servizi streaming ci abituassero a dis Prima che i servizi streaming ci abituassero a disporre in ogni momento dei loro cataloghi folti e perpetuamente rinnovati, si aveva l'impressione condivisa che guardare la televisione fosse un'esperienza ritmica.

L'autunno era il periodo dei ritorni e delle novità, quello dove le serie tv più attese e chiacchierate arrivavano finalmente sui teleschermi dopo settimane di rumorosi spot pubblicitari, e gli spettatori (non i singoli, ma una collettività) potevano sciogliere finalmente i dubbi su quel finale di stagione che a maggio si era interrotto sul più bello. Poi, un episodio dopo l'altro, la primavera arrivava, segnando l'inizio del processo inverso: le trame gradualmente si esaurivano, pronte a prendersi a una pausa.

Quella pausa, ha scritto Kathryn VanArendonk su Vulture, era la tv estiva. E per quanto all'epoca fosse accompagnata da un brusco e frustrante senso di vuoto, vista a posteriori, dall'era dello streaming, si riempie di significato.

Il contenuto dei palinsesti estivi aveva il compito di sfamare la voglia di leggerezza stagionale. E le repliche, ha osservato VanArendonk, fungevano da opportunità per rimettersi in pari con gli episodi persi e tenersi in contatto con i personaggi; ma soprattutto fungevano da segnaposto: si poteva spegnere la tv, senza aver paura di perdersi qualcosa.

I servizi streaming non hanno cancellato del tutto questa ritmicità: l'estate è ancora il periodo dedicato alle serie tv leggere e i reality in bikini. Ma, in parallelo, il flusso delle grandi produzioni non cessa di scorrere. Per intenderci, questa sarà l'estate di "Obi Wan-Kenobi" e "Stranger Things".

Secondo VanArendonk, si tratta della conseguenza naturale della cosiddetta ”peak tv”. Ormai la produzione di serie tv è tale da non poter essere condensata nei mesi che vanno da ottobre a maggio. C'è tuttavia un valore, nel prendersi una pausa e concedersi una ritualità, che gioverebbe anche alla tv odierna. Perché una volta tornati, abbronzati e rigenerati, da un periodo di lontananza dai divani, iniziare a vedere un nuovo episodio ha un gusto tutto particolare.

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#streaming #serietv #estate
Quale aspetto conta di più quando decidete di abb Quale aspetto conta di più quando decidete di abbonarvi a un nuovo servizio streaming? E quale invece vi convince che sia arrivato il momento di cancellare l'iscrizione?
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Fandom, la più grande piattaforma per i fan dei prodotti di gaming e intrattenimento, l'ha chiesto a 5,500 dei suoi utenti sparsi in tutto il mondo. Le risposte, unite all'analisi dei comportamenti di oltre 300 milioni di utenti attivi mensili, hanno fornito un quadro piuttosto eloquente delle scelte che il mercato dello streaming dovrà fare per mantenersi florido.
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"Mantere" - appunto - è la parola chiave. Dopo quasi un decennio trascorso a inseguire nuovi abbonati, i servizi streaming stanno entrando in una fase più complessa e matura, che richiederà loro di convincere i propri abbonati a restare tali.
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Una parte consistente degli utenti del mercato dello streaming, infatti, non ha un legame profondo con le piattaforme a cui è abbonato. Per alcuni (i cosiddetti "mercenari dello streaming") l'iscrizione dura il tempo di vedere il film o la serie tv che gli interessa. Per molti altri, sostenere i costi di più abbonamenti sta diventando sempre più difficile.
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La chiave sono ancora i contenuti. Ma se prima contava soprattutto la quantità di produzioni originali, adesso anche il genere sta assumendo un ruolo centrale.
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Quando gli utenti si abbonano a un servizio streaming, ha spiegato Fandom, si sentono presto spaesati e sopraffatti dall'offerta: una volta finita la serie per cui si sono iscritti, non riescono a inquadrare cos'altro potrebbe piacergli. Puntare su generi e franchise specifici, per le piattaforme diventa così importantissimo, le differenzia: se un utente si è iscritto per vedere una serie di supereroi, sa che poi ne troverà altre. Su questo fronte, Disney+ è al momento la piattaforma più evoluta. E non è un caso che, secondo gli analisti, sia anche quella più quotata per superare Netflix.

🔍 Fandom/Variety
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#streaming #fandom #streamingwars #serietv #disneyplus #dataanalytics
Le esistenze di Ruby e Billy sono unite da tre let Le esistenze di Ruby e Billy sono unite da tre lettere e da un patto fatto ai tempi della loro storia d'amore universitaria. Cioè da quando, in preda all'ingenuo romanticismo dei 19 anni, si promisero che, se mai uno dei due avesse ricevuto dall'altro un messaggio con la parola "RUN" ("SCAPPA") e risposto lo stesso, entrambi avrebbero lasciato tutto per incontrarsi alla Grand Central Station di New York e fuggire insieme in treno.

Quel momento arriva 17 anni dopo, ma con implicazioni ben più incasinate di quanto non calcolato in partenza. Perché Ruby e Billy, di anni, ne hanno ormai quasi quaranta. E se all'istinto bastano pochi secondi per premere invio, ben più faticoso è deragliare dalle conquiste, le relazioni, le abitudini di una vita che ha sempre viaggiato su binari drittissimi.

Da qui si animano i sette brevi episodi di "Run", una serie tv sviluppata dalle stesse menti britanniche dietro "Fleabag" (Vicky Jones l'ha creata, Phoebe Waller-Bridge l'ha co-prodotta), e per questo intenzionata a esplorare le crisi che ingarbugliano la mente nel percorso irreversibile verso l'età adulta.

Poco si può dire senza guastare la visione: la trama si tiene in piedi inanellando una svolta dopo l'altra su quel che i due protagonisti sono diventati e fingono di essere. Basta sapere però che, tappa dopo tappa, il viaggio di Ruby e Billy si fa più rocambolesco, introspettivo, criminoso, e il loro bilancio esistenziale assume significati quasi opposti.

Nel 2020, quando uscì su HBO, "Run" offrì agli statunitensi una via di fuga dalla claustrofobia della reclusione pandemica. Dopodiché, la rete via cavo decise di non rinnovare la serie. Vederla oggi ha il gusto di una corsa folle e mutevole nel genere (un thriller comico, una commedia romantica, un dramedy riflessivo), dove due ottimi interpreti mettono in scena la tentazione rassicurante di fuggire nel passato, dopo aver scoperto di aver forse idealizzato il presente. 
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📺 "Run" va in onda il 6 giugno su Sky Serie (ore 21.15) e Now TV
⏱ 7 episodi da 26-33 minuti
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#run #domhallgleeson #merrittwever #hbo #skyitalia #dramedy #serietv #whattowatch
Della quarta stagione di "Stranger Things" si sta Della quarta stagione di "Stranger Things" si sta parlando quasi più per il minutaggio, che per il contenuto. I sette episodi (di nove totali) usciti finora oscillano tra i 64 e i 98 minuti, con una durata media di 30 minuti più lunga rispetto a quella delle stagioni precedenti. Le quali, a parità del numero di episodi, duravano la metà delle ore.

Netflix ha spiegato che, nella visione creativa della nuova stagione, era essenziale lasciare che gli episodi si mostrassero «così come sono». Soprattutto per dare a ciascuno dei numerosi elementi della trama (13 personaggi principali dislocati in almeno sei diverse ambientazioni) lo spazio dovuto.

Nella serialità americana, "Stranger Things" non è certo la prima serie a introdurre episodi molto lunghi: nel 1983 “M*A*S*H.” si chiuse con un film di 2 ore; nel 2019 l'episodio "La lunga notte" del "Trono di Spade" raggiunse gli 82 minuti; e il revival di "Una mamma per amica" si compone di quattro episodi da 90 minuti. Tuttavia, questa quarta stagione potrebbe diventare il simbolo del passaggio alla serialità meno vincolata ed elastica dell'era dello streaming, e dei suoi relativi pro e contro.

Di certo, la lunghezza sempre meno standard degli episodi ha già avuto un impatto sulla modalità di gestione dei contratti degli attori, finora abituati a negoziare i compensi in base al numero di episodi per ogni stagione. Inoltre, una durata maggiore potrebbe permettere alle piattaforme di inserire interruzioni pubblicitarie in maniera più digeribile.

Il dubbio più grosso riguarda però la reazione degli spettatori: il ridursi della loro capacità di attenzione potrebbe entrare in contrasto con l'allungarsi delle trame. Più che un limite, il minutaggio standard degli episodi è spesso stato uno stimolo per mantenere alti il ritmo e la creatività degli episodi. Eliminarla del tutto potrebbe quindi incidere negativamente sulla qualità delle serie tv. Nella quarta stagione di "Stranger Things", ha scritto Thrillist, «le cose impiegano così tanto tempo ad accadere, che ci si dimentica a che punto fossero ancora prima di arrivare alla risoluzione».

🔍 IndieWire/Variety
Quando "Porn, I Love You" ha ultimato a Kiev le ri Quando "Porn, I Love You" ha ultimato a Kiev le riprese dei suoi episodi, la Russia non aveva ancora invaso il territorio ucraino. Adesso, dopo tre mesi di conflitto, la sua lavorazione sta proseguendo all'interno di un rifugio antiaereo.

"Porn, I Love You" è l'ultima serie tv girata in Ucraina prima dell'inizio dell'invasione russa. La sua storia, raccontata da Deadline, dà un'idea piuttosto concreta di cosa significhi lavorare a un progetto televisivo in periodo di guerra.

Al momento dell'invasione, l'organizzazione della fase post-produttiva è stata subito smembrata e riorganizzata via Zoom. La squadra di montatori, progettisti del suono, compositori, registi, attori che avrebbe dovuto lavorare nello studio di FILM.UA (nel frattempo diventato un bunker, come altri studi di produzione) è stata dislocata in diversi luoghi interni ed esterni al paese, tra lunghi viaggi in macchina e numerosi controlli ai checkpoint.

«Resilienza e buon umore» hanno aiutato a portare quasi a termine la serie, ha spiegato il produttore americano Den Tolmor, già noto per aver creato il documentario Netflix "Winter on Fire: Ukraine’s Fight For Freedom". Come quest'ultimo, infatti, "Porn, I Love You" è uno dei rari progetti televisivi che vedono collaborare Ucraina e Stati Uniti.

Secondo Deadline, la serie potrebbe inaugurare una generazione di produzioni ucraine in grado di attrarre l'attenzione internazionale. Dall'inizio della guerra, film e serie tv locali sono sempre più richiesti, e si sta già lavorando a un fondo finanziato dagli studios americani per poter mantenere una continuità produttiva.

Nel caso di "Porn, I Love You", ha detto Tolmor, l'elemento più significativo è che si tratti di una commedia. «L'idea era di non dare ai russi nessun motivo per cui pensare di poterci abbattere. Gli spettatori di tutto il mondo potranno ridere guardando una serie che è stata fatta in tempi tutt'altro che divertenti».

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#porniloveyou #ucraina #guerraucrania #serietv #winteronfire #netflix
«Filmed in Liverpool, streamed everywhere».
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È il motto del Liverpool Film Council, il dipartimento del consiglio comunale di Liverpool che si occupa di fornire alle produzioni cinematografiche e televisive le giuste location e strutture dove cui poter sviluppare i propri progetti, affidandosi alle più esperte figure professionali.
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Negli ultimi anni, la mole di lavoro per l'industria dell'intrattenimento locale è aumentata parecchio. La Gran Bretagna ha infatti investito elevate quantità di denaro per diventare uno dei principali poli nella produzione di film e serie tv. 
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Per ora, ci sta riuscendo piuttosto bene: il territorio britannico ha accolto solo nell'ultimo anno 211 serie televisive di alto livello, e si prepara da accoglierne di nuove. Su tutte, l'ambiziosa "Gli Anelli del Potere", che trasferirà il proprio set dalla Nuova Zelanda.
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Dopo Londra, la città insospettabilemente più ambita dalle società produttive è Liverpool, che dal porto di mattoni rossi agli eleganti edicifici di Water Street ha fatto da controfigura a diverse città americane, ma anche a Mosca, Madrid, Gotham City e alla vecchia Birmingham di "Peaky Blinders".
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I vantaggi sono tanti, sia per la forza lavoro locale, sia per chi decide di girare i propri progetti sul territorio. Tuttavia, la velocità impressionante dell'espansione produttiva porta con sé qualche piccolo rischio che le autorità britanniche stanno cercando di arginare.
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#liverpool #streaming #serietv #peakyblinders #liverpoolfilmoffice
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