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Com’è ‘L’amica geniale’

Chi teme di assisterne a un approssimativo snaturamento non avrà nulla di cui preoccuparsi. Come neppure chi teme d’imbattersi in un intreccio accessibile soltanto a chi già lo conosce. L’adattamento televisivo di L’amica geniale è assai trasversale. Mostra grande rispetto per il lettore che ne ha consumato le pagine, senza tuttavia farsi impenetrabile allo spettatore ignaro anche della sua copertina. Lo fa con incredibile naturalezza, guidato senz’altro dalla penna di Elena Ferrante – che ha collaborato alla sceneggiatura – semplice nella forma ma dal dettaglio vivido. E si premura di comunicarlo fin da subito, ricalcando riga per riga l’incipit del romanzo di apertura della fortunata quadrilogia firmata dall’autrice misteriosa.

Il telefono che squilla nel bel mezzo della notte e la sessantaseienne Elena Greco stordita dall’impeto penoso del bamboccione Rino. Sua madre, Raffaella Cerullo, è sparita, volatilizzata. E con lei anche tutte le sue cose, compresa la sua sagoma dalle vecchie fotografie. “Non la cercare. È inutile. Impara a vivere da solo e non cercare più nemmeno me” lo fredda Elena. Poi accende il computer e dà sfogo ai ricordi rimasti di una lunga, travagliata amicizia.

Ricostruita la cornice, riemergono così le strade polverose della Napoli del dopoguerra, dove le piccole esistenze di Lenù e Lila s’intrecciano tra i banchi di scuola, destinate a condividere ogni passaggio di vita in un rapporto animato da reciproca protezione e rivalità.

Sullo schermo tutto prende vita con stupefacente aderenza all’immaginazione. Saverio Costanzo non si prende alcuna libertà e con sguardo neoralista mette in moto l’ignoranza, la ferocia, la malavita di un rione dal grigiore saturo, ricreato però con artificiosità teatrale. Esattamente come su carta, qui spicca la brillantezza di spirito delle due protagoniste, bambine prima e adolescenti poi, una docile e diligente, l’altra violenta e ribelle, geniali l’una agli occhi dell’altra.

Eppure, dai fotogrammi della coproduzione HBO e Rai Fiction (che la rilascia con qualche giorno di ritardo rispetto a USA e Gran Bretagna) si avverte un maggiore senso di disagio. Perché gli istinti primitivi del contesto e le emozioni sempre impetuose di Lenù e Lila, delle loro famiglie di diversa dignità, dei compagni di crescita, non sono più alleggeriti dallo stile lieve della scrittrice né dai meccanismi di difesa della mente. Cosicché, quando le due tentano di assaporare la libertà di evadere dal rione per vedere il mare, si scambiano cenni di ammirante complicità o si scontrano invece con la violenza fisica di chi le circonda, l’intensità si avverte con più irruenza, riuscendo a preservare suspense e meraviglia anche agli occhi di chi conosce già il passo successivo.

Da romanzo, L’amica geniale si evolve in serie tv di formazione, precisa nella punteggiatura dello scenario storico – gli anni Cinquanta – sospeso tra arretratezza e rifioritura, dialetto (di cui qualcuno ha già avuto modo di lamentarsi) e lingua italiana, istinto e raziocinio.

Ed è per questo che non ci si spiega come abbia potuto inciampare in un’unica, stridente stranezza. Affidare, ovvero, l’autenticità del racconto alla voce narrante di Alba Rohrwacher. Lustrata dalla piatta perfezione che mai ci si aspetterebbe dal parlare della partenopea e vissuta Elena Greco.

L’amica geniale, in un’infografica

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